domenica 29 giugno 2025

Quando il wellness costa la libertà di scelta - Ci vuole un contratto bestiale?



Ci vuole un fisico bestiale
Perché siam sempre ad un incrocio
O sinistra, destra, oppure dritto
Il fatto è che è sempre un rischio

Ci vuole un attimo di pace, sai, di pace, sai
Di fare quello che ci piace, sai, mi piace, sai

E come dicono i proverbi
E lo dice anche mio zio
Mente sana in corpo sano
E adesso son convinto anch'io

 

…così cantava Luca Carboni, in uno dei suoi pezzi più famosi e rimasto nella storia della musica.

Mentre meditavo su questo articolo, appena letta la notizia della ingente sanzione dell’A.G.C.M. alla Virgin Active, mi veniva in mente proprio il motivetto ci vuole un fisico bestiale, pensando però al discutibile contratto che ha unito me ed altre centinaia di migliaia di sportivi ad uno dei villaggi fitness più famosi e più ricercati d’Italia: un contratto incompreso dai più, messo a disposizione ed attenzionato troppo tardi dai consumatori – guidati a sottoscriverlo mediante l’apposizione di una firma nella pagina bianca di un tablet, dopo esser stati affascinati dalla bellezza della struttura, dalla simpatia e dalla disponibilità del personale, da quell’aria di infinita serenità che, diciamocelo, solo Virgin Active sa donare.

L’incantesimo è potenzialmente destinato a durare per sempre, o meglio finchè comprovati problemi economici, malattia, gravidanza o trasferimento in città sprovvista di sede V.A.I. non ci separino. Non sono ammessi ripensamenti.

Abbandonando qualsivoglia ironia, è opportuno ricordare che, mentre il consumatore è intento ad investire il proprio tempo ed il proprio denaro nella più salutare delle attività – lo sport – non dovrebbe mai dimenticare i propri diritti, sanciti a chiare lettere dal Decreto Legislativo del 6 settembre 2005, n. 206, che ha recepito la Direttiva n. 2005/29/CE in materia del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno.

Le norme ivi contenute sono reiteratamente state violate da Virgin Active Italia che, con provvedimento del 13 giugno 2025 è stata condannata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ad una sanzione amministrativa pecuniaria di 3.000.000 di euro per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 24, 25, 26, lettera f), e 65-bis del Codice del Consumo.

A seguito di plurime di segnalazioni dei consumatori, l’A.G.C.M. ha difatti avviato un procedimento a carico della nota società, relativo alle modalità di sottoscrizione del contratto di abbonamento ai servizi fitness e wellness […] non idonee a fornire adeguate informazioni al consumatore sui termini e le condizioni di adesione, di rinnovo, di disdetta e di recesso anticipato da tale contratto […], all’assenza di qualsivoglia comunicazione preventiva, in prossimità della scadenza dell’abbonamento, finalizzata a ricordare il rinnovo automatico e il termine entro cui è possibile fare disdetta, alla mancata comunicazione delle variazioni di prezzo dell’abbonamento e, in particolare, alla presenza di ostacoli all’esercizio della facoltà di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta.

Per quanto riguarda il primo punto, l’Autorità Garante ha riscontrato che, al momento dell’iscrizione, in assenza di richiesta espressa del cliente di conoscere le Condizioni di Abbonamento a cui si sta vincolando, la stipula del contratto avveniva con la mera apposizione di una firma digitale in un tablet,  visionando una mera schermata bianca.

In altre parole, come evidenziato da uno dei tanti consumatori rivoltisi all’A.G.C.M., la sottoscrizione avviene al buio, e quando ho chiesto spiegazioni mi è stato risposto “le firme servono solo per l’accettazione del contratto, tanto poi eventualmente puoi dare disdetta/esercitare il recesso” (segnalazione prot. 0013171 del 21 febbraio 2025).

Volendo sopperire all’anzidetta carenza informativa con la facoltà, sempre presente in capo al cliente, di consultare il contratto nella propria applicazione della V.A.I., o chiedendone copia stampata al desk, si presenta comunque una grande problematica quando, terminato l’incantesimo su cui si ironizzava sopra, il consumatore desideri per davvero dare disdetta o esercitare il recesso – opzioni non consentite con la facilità originariamente prospettata dal personale di accoglienza del club.

L’A.G.C.M. ha riscontrato il rigetto, da parte di V.A.I. di varie richieste di risoluzione del contratto di abbonamento per impossibilità sopravvenuta, motivate da quelle causali che le stesse condizioni di abbonamento qualificano come impedimenti oggettivi che consentono lo scioglimento del vincolo contrattuale, quali ragioni di salute, trasferimenti in altre città o perdita del lavoro. In questi casi V.A.I. ha rifiutato – senza valide argomentazioni – tali istanze o ha ostacolato lo scioglimento del contratto con ridondanti richieste di documentazione, nonostante le istanze fossero supportate da attestazioni circa la ricorrenza della causa ostativa.

Conoscevo una persona – oggi ahimè scomparsa – che, nonostante fosse affetta da una rara forma di tumore e non potesse, logicamente, più frequentare il club, è stata costretta a presentare mensilmente un certificato medico attestante la condizione di salute impeditiva dello svolgimento di attività fisica. Virgin Active Italia pretendeva la dimostrazione mensile della permanenza del tumore, in alcun modo acconsentendo alla richiesta di recesso anticipato dal contratto.

Conosco di contro centinaia di persone che, anziché rispettare la posizione della struttura ed assecondarne le richieste, come il mio compianto amico, rimuovevano l’autorizzazione bancaria al prelievo del costo mensile dell’abbonamento, non contenti della reazione negativa della struttura.

Come rilevato dall’A.G.C.M., Virgin Active anche nei casi di mancato accoglimento delle richieste di cessazione del contratto motivate da sopravvenuti impedimenti oggettivi o da rinnovi automatici del contratto non preceduti da preavviso, oltre a continuare ad addebitare i costi per un servizio non voluto e non usufruito, ha inoltrato le pratiche a società di recupero crediti (segnalazioni prot. n. 82071 del 4 settembre 2024 e prot. n. 5452 del 27 gennaio 2025).

La ridondante richiesta di documentazione, fatta passare per una legittima richiesta dalla struttura, unitamente agli ostacoli posti all’esercizio del diritto di recesso, costituiscono pratiche commerciali scorrette cd. aggressive ai sensi del Codice del Consumo.

L’anzidetto Decreto definisce, all’art. 25, tali le pratiche commerciali caratterizzate dal ricorso ad indebito condizionamento, sussistente laddove il professionista ponga qualsiasi ostacolo, non contrattuale, oneroso o sproporzionato qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compreso il diritto di risolvere un contratto, nonché qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata.

Il consumatore che si ritrovi nel bel mezzo di un procedimento di recupero crediti, derivante dalla violazione di una clausola contrattuale relativa ad un servizio non più desiderato, si trova certamente in una condizione di debolezza e di disagio, che il legislatore comunitario ha desiderato tutelare proprio con la normativa in esame che, all’articolo 26, lettera f), definisce pratica commerciale aggressiva – e come tale anch’essa sanzionabile – l’esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o custodia di prodotti che il professionista ha fornito ma il consumatore non ha richiesto.

Allontanandomi un attimo dall’esame delle segnalazioni ricevute dall’A.G.C.M., ricordo con chiarezza una personale esperienza, risalente all’epoca della pandemia da Sars-Covid19, durante cui il mio compianto padre inviò per mio conto – allora ero una praticante – una diffida alla Virgin Active Italia.

Richiedevamo la restituzione della quota parte relativa al mese di marzo 2020, pagata interamente nonostante la brevissima fruizione del servizio a causa del sopraggiungere del lockdown, unitamente al recesso dal contratto, motivato dal fatto che, nonostante la palestra avesse successivamente riaperto, le prestazioni non erano più quelle contrattualmente previste in quanto l'accesso non era più libero e senza limitazioni di orario, bensì subordinato a prenotazione e ora fissa, in violazione dell'opzione open.

La replica della struttura fu disarmante, mi venne impedito di recedere e mi venne, in compenso, proposta una estensione della durata dell'abbonamento in corso, consentendo di poter godere della prestazione già corrisposta e quindi di un periodo pari ai giorni di chiusura di febbraio e di marzo in coda all'abbonamento medesimo.

In altre parole, era l’inizio della fine: si palesavano, in capo ai consumatori, ripensamenti e necessità – anche connesse alla incolumità propria e dei propri familiari, proprio a causa della pandemia – che non venivano lontanamente considerate dalla Virgin Active, protagonista di una palese pratica aggressiva ai sensi della lettera a) del su citato art. 26 del Codice del Consumo, sanzionante il professionista che crei l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto.

La facoltà di recesso – nel nostro ordinamento disciplinata anche dagli artt. 1463 e 1464 cod. civ. – è stata negata ai consumatori in modo reiterato, così costituendo fonte di responsabilità della V.A.I., sanzionata con l’ingentissima multa di tre milioni di euro, che affolla le testate giornalistiche online e che è da molti ritenuta addirittura insufficiente a coprire le violazioni perpetrate a danno dei propri affezionati clienti.

*****

Unitamente a quanto sinora esaminato con maggiore ardore – a causa della diretta esperienza della sottoscritta – è opportuno citare altre violazioni, dall’A.G.C.M. ritenute anch’esse fonte di responsabilità: l’assoluta assenza di comunicazione sull’approssimarsi della scadenza annuale dell’abbonamento e sul termine utile per richiedere l’eventuale disdetta, circostanza che ha impedito ai clienti di effettuare una scelta alternativa al rinnovo automatico – così costretti a richiedere la disdetta del rinnovo automatico in epoca successiva, con aggravio di costi a proprio carico nonostante la volontà di recesso manifestata.

Anche questa costituisce una pratica commerciale scorretta poiché, come emerge in modo cristallino, siamo nuovamente dinanzi alla negazione di un diritto, quello di libera scelta di non usufruire più di un servizio, di non rinnovare un contratto che sembra essere più simile ad un patto con il diavolo.

Ultimo, ma non per importanza, comportamento sanzionato dall’A.G.C.M. è l’aver la Virgin Active Italia taciuto sulle modifiche dei prezzi degli abbonamenti, addebitando i superiori costi ai consumatori che avevano, originariamente, pattuito una cifra più bassa – giustificandosi con l’asserito miglioramento dei servizi.

Alla struttura è però sfuggita, anche in questa occasione, l’importanza nel nostro sistema normativo della libertà di scelta e di contrattazione: il consumatore ha il diritto di decidere se proseguire o meno alla nuove condizioni offerte dall’altro contraente, fornitore del servizio di fitness e wellness e, pertanto, non dovrebbe essere reso edotto sui cambiamenti, che essi siano relativi al prezzo o ai servizi, solo “a cose fatte”.

Le condotte sinora prospettate costituiscono pratiche commerciali scorrette, contrarie alla dligenza professionale – a causa della scarsissima trasparenza dimostrata – idonee a falsare il comportamento economico del consumatore medio, inducendolo in errore e a fargli assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso – come espressamente previsto dalle lettere d) ed e) dell’art. 21 del Codice del Consumo.

Alla luce di tutto questo risuonano ancora più forti le parole di Luca Carboni: Ci vuole un attimo di pace, sai, di pace, sai di fare quello che ci piace, sai, mi piace, sai.

L’orientamento del Giudice di Pace di Catania

A chiusura di questa analisi, mi preme evidenziare che non tutti si sono rivolti all’Autorità Garante: uno dei clienti della struttura, di professione avvocato, ha “eroicamente” citato in giudizio la Virgin Active, chiedendo di accertare e dichiarare lo scioglimento del contratto di abbonamento annuale stipulato […] per valido esercizio del diritto di ripensamento e/o accertare e dichiarare la risoluzione contrattuale con efficacia ex tunc, previa richiesta, cautelativa, di sospensione degli addebiti su C/C e giusta declaratoria di vessatori età delle clausole dallo stesso sottoscritte – oltre al rimborso delle somme relative ai mesi “pandemici” non usufruiti e di qualsivoglia somma addebitata nelle more del giudizio.

Egli ha trionfato, ottenendo il riconoscimento dei suoi diritti.

Il Giudice di Pace ha riconosciuto il diritto di ripensamento al cliente, a fronte della vessatorietà delle clausole contrattuali, con particolare riferimento alla 14, relativa proprio al recesso, poiché non doppiamente sottoscritta dall’esponente in seno al modulo contrattuale proposto così come richiesto dall’art. 1341 c.c. e poiché non risulta che le parti l’abbiano discussa ed approvata prima della stipula.

Parimenti era riconosciuto il diritto del consumatore alla risoluzione del contratto, a fronte dell’alterazione del sinallagma contrattuale nei periodi di riapertura del Club.

Il Giudice ha rilevato che il contratto sottoscritto nei fatti non ha potuto spiegare pienamente i propri effetti, per inadempimento e/o inadempimento parziale della convenuta. La pandemia SARS-CoV2 ha, infatti, provocato la chiusura forzata di molte attività […] come le palestre la cui riapertura era subordinata, in ossequio alla normativa emergenziale vigente, ad un accesso limitato con prenotazione a 90 minuti di permanenza nel Club, in luogo del libero accesso per l’Home club e le aree relax come da contratto. Tali disposizioni concretizzatesi in vere e proprie modifiche e non in “accorgimenti” – indicati nel contratto – hanno alterato il sinallagma contrattuale e quindi hanno causato un inadempimento agli accordi sottoscritti da parte della convenuta.

La domanda del cliente era accolta: la struttura era condannata alla restituzione delle somme indebitamente trattenute ed alle spese legali relative al giudizio che, laddove la normativa vigente fosse stata rispettata, non sarebbe stato necessario avviare.

Quanti consumatori rinunciano a una siffatta tutela pagando a vuoto, pur di evitare “impicci”?

Quanti pensano “stacco il RID tanto non mi faranno mai causa”?

E quanti, dopo aver preso quest’ultima avventata decisione, si ritrovano – a distanza anche di anni – impossibilitati a frequentare il club Virgin poiché morosi di centinaia o migliaia di euro?

Ancora, quanti – stregati dall’incantesimo – pur di allenarsi nel paradiso del fitness sono disposti anche a versare le anzidette somme alla struttura, trasformandole in un “buono” da sfruttare successivamente?

Scendere a patti, cercare una conciliazione, un compromesso che sia positivo per tutte le parti è il primario compito di un avvocato – che non sempre, a differenza di quanto si creda, è soggetto litigioso – ma dinanzi ad una compressione della libertà di scelta siffatta, ne vale la pena?

 

Ci vuole un fisico bestiale
Perché siam sempre ad un incrocio
O sinistra, destra, oppure dritto
Il fatto è che è sempre un rischio

                                                                                                                                      Avv. Rosanna Ciavola

 

 Provvedimento A.G.C.M.