mercoledì 1 marzo 2017

Regolamento continuità professionale

Avvocati: entrato in vigore il regolamento sulla continuità professionale

Pubblicato sulla G.U. n. 81 del 07/04/2016 , è in vigore dal 22 aprile scorso il Decreto del Ministero della Giustizia n. 47/2016, relativo al Regolamento ministeriale recante disposizioni per l’accertamento dell’esercizio della professione forense.
Dunque, ogni tre anni i Consigli territoriali dovranno verificare l’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente da parte di ogni iscritto all’albo, con la sola esclusione dei neoiscritti per i primi cinque anni.
Entro sei mesi,  a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento, un altro provvedimento ministeriale dovrà stabilire le modalità per individuare con sistemi automatici le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione, anche mediante le quali sarà possibile comprovare il possesso dei requisiti richiesti.
Le modalità di accertamento e i sei requisiti ammessi
Il sistema così elaborato dovrebbe promuovere l’accertamento di un esercizio dell’attività non discontinuo, quindi caratterizzato da un sufficiente grado di professionalità. Ma, esclusi i rilievi sostanziali cui dovrebbe ispirarsi l’unico giudizio sulla natura dell’attività svolta, pur con le due epurazioni cui si accennerà,  sono stati indicati parametri strettamente tecnici o viatici qualificanti le credenziali dell’avvocato  a seconda del privilegio economico di cui può disporre.
Lo stesso discrimine è del resto sotteso anche all’obbligo sancito dall’art. 29, comma 6, L. P. ed esaltato ad indice di etica professionale dagli artt. 16 e 70 del Codice Deontologico Forense. Nel primo caso, il mancato pagamento dei contributi annuali entro i termini previsti, comporta la sospensione non disciplinare e revocabile con la regolarizzazione, mentre nel secondo caso anche l’incolpevole inadempimento degli obblighi previdenziali, fiscali, assicurativi e contributivi assume la fisionomia di vero e proprio illecito disciplinare, francamente alla stessa stregua di comportamenti violativi di ben altra indole corruttiva.
Dunque, tra i sei requisiti indicati che devono ricorrere congiuntamente, la titolarità di una partita IVA attiva (requisito alla lett. a, art. 2, comma 2) e di un indirizzo di posta elettronica certificata (requisito alla lett. d) sono strumenti di lavoro praticamente iniziatici, così come la previsione circa l’esigenza di una base operativa (requisito alla lett. b) non può che rivelarsi strettamente connessa alla garanzia di una ben determinata e stabile organizzazione dello studio professionale.  Nell’anno di grazia 2016, l’espressione in sè uso di locali e di almeno un’utenza telefonica apparirebbe preistorica, se non fosse probabilmente destinata a comprendere, in una moderna e funzionale dotazione di mezzi, anche soluzioni non tradizionali, quali quelle degli uffici condivisi o delle recenti realtà di coworking, avversate solo da vetuste e incomprensibili resistenze.
Diversa considerazione meritano i restanti tre requisiti.
Nell’attesa del decreto ministeriale che, in attuazione dell’art. 12, comma 5, citata L.P., determini le condizioni essenziali e i massimali minimi della polizza assicurativa per la responsabilità civile e contro gli infortuni (requisito previsto alla lett. f), l’entrata in vigore dell’obbligo è differita, come precisato dal CNF nel parere n. 35/15, all’emanazione del provvedimento, mentre l’obbligo di aggiornamento professionale (requisito alla lett. e) deve essere assolto secondo modalità e condizioni stabilite con il regolamento attuativo CNF n. 06/14 , successivamente modificato.  Il sistema così previsto, in buona sostanza, dovrebbe essere funzionale ad assicurare il cd. lifelong learning, inteso come evoluzione professionale di conoscenze e abilità per favorire trasparente competitività e garantire all’utenza competenze dinamicamente acquisite.
Proprio per i migliori propositi dichiarati in tema di libera concorrenza e tendenziale gratuità degli eventi istituzionalmente organizzati, è auspicabile che il sistema ordinistico, allo stesso tempo competente per l’accredito e produttore di eventi formativi, si renda nobilmente immune da potenziali conflitti e restrizioni concorrenziali; allo stesso modo, dovendosi occupare dei processi di verifica e monitoraggio delle attività di aggiornamento e formazione  in esito alle quali l’avvocato potrà essere inserito in elenchi ben determinati,  il rischio è quello di un’eccessiva burocratizzazione degli strumenti di controllo.
Infine l’elemento della trattazione di almeno cinque affari nell’anno (requisito previsto alla lett. c) rappresenta veramente l’apoteosi di questo regolamento.
Poteva sembrare preferibile la soluzione proposta dal Consiglio di Stato di documentare, al di là del dato strettamente numerico, la trattazione di una quantità anche inferiore di affari, purchè connotati da particolare impegno e rilevanza. E’ prevalso invece, su una maggiore flessibilità e valutazione qualitativa dell’attività, un metro scolasticamente quantitativo, realmente soggetto alla stessa discrezionalità che lo schema attribuisce ai Consigli territoriali anche nella valutazione delle difese dell’iscritto in tema di giustificati motivi soggettivi e oggettivi, al fine di  evitare la possibile cancellazione.
La cancellazione dall’albo e la reiscrizione
Quindi, proprio nell’ipotesi in cui il COA accerti la mancanza anche di uno solo degli elementi richiesti e in contraddittorio l’iscritto non dimostri la sussistenza dei menzionati giustificati motivi,  verrà disposta la sua cancellazione dall’albo. La prova successivamente fornita dei requisiti relativi alla partita iva, alla pec, alla struttura operativa e alla polizza assicurativa consente la riabilitazione, concessa non prima del trascorrere di 12 mesi sabbatici nelle ipotesi di cancellazione decisa per mancanza dell’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento e per la trattazione di un non sufficiente numero di affari nell’anno. Rimane, tuttavia, irrisolto l’arcano di come si possano acquisire crediti formativi o assumere incarichi senza essere iscritti all’albo.
I possibili effetti del regolamento e il potere interno degli organi di controllo
La versione definitiva del testo, com’è noto, non prevede più, rispetto alla bozza iniziale, i requisiti relativi alla regolarità previdenziale e contributiva ai COA, poichè ritenuti indirettamente collegati al reddito del professionista, escluso, come riferimento per le modalità di accertamento della continuità, dall’art. 21, comma 1, L. n. 247/12.
Ma, al di là dell’eliminazione di tali indici, per il quadro generale delineato tra possibili sospensioni amministrative e persecuzioni disciplinari, non si esclude che un vero e proprio fuoco di fila possa essere riservato anche all’iscritto che, pur estraneo ad una conduzione professionale intenzionalmente elusiva degli obblighi imposti, sia condizionato, nel regolare adempimento degli stessi, dall’insufficienza dei propri guadagni e oggettivamente non possa, al di là di vuote retoriche motivazionali, radicalmente mutare il percorso lavorativo da anni intrapreso.
Peraltro, il requisito della continuità era stato da più parti già indicato, nel percorso di approvazione della L. n. 247/12, come incompatibile con il divieto di discriminazione indiretta ai danni di parti deboli della categoria, maggiormente soggette a periodi di discontinuità rispetto alle inattaccabili posizioni di soggetti professionalmente forti.
Questo, anche in adesione al divieto espresso dagli orientamenti della Corte di Giustizia riguardo a clausole, regolamenti e leggi, subordinanti la concessione di benefici o diritti anche solo ad un certo tasso di continuità dell’attività lavorativa.
Impostazione migliore poteva essere quella, da più parti a suo tempo suggerita, del declassamento dei criteri indicati da assoluti a presuntivi, in modo da consentire, anche in mancanza di uno solo di essi, la prova della continuità con qualsiasi altro mezzo   caso per caso, non potendo costituire il volume di affari dell’avvocato un indice fondamentale circa la sua affidabilità come professionista.
Ora, mentre, in materia di illecito, spetterà agli organi di disciplina sanzionare o meno le irregolarità commesse da colleghi iscritti non al proprio foro di appartenenza, altro è il compito che attende i COA, chiamati a esercitare un potere interno che, nella sua inevitabile discrezionalità, ad oggi non sembra rinvenirsi negli ordinamenti professionali degli altri paesi europei, perlomeno con queste connotazioni.
La sensazione è che sarà difficile arginare la tentazione di reciproche influenze, nella reviviscenza del legame tra elettore ed eletto, sottratto agli stessi COA per l’esercizio disciplinare. In altri termini, come si comporteranno i Consigli, quando dovranno accertare la mancanza dell’esercizio continuativo o valutare la pregnanza dei motivi soggettivi e oggettivi di cui dovrà fornire prova lo stesso collega dal quale, magari, hanno ricevuto ampio sostegno al momento del voto ? Quali ripercussioni politiche matureranno anche solo alle invise procedure di controllo per un elettorato non certo abituato alle neo-vigenti, delicate ingerenze nelle singole vite professionali ?
Tali perplessità -in particolare, la prima- non si porrebbero, se non avessimo assistito negli anni a innegabili derive clientelari e, prima dell’entrata in scena dei CDD, a episodi di uso distorto della funzione disciplinare, naturalmente non ovunque, ma in alcuni Ordini certamente, anche se per limitate fasi e passaggi di singole consiliature.