mercoledì 6 aprile 2016

SHARING ECONOMY

SHARING ECONOMY: 

LA PROPOSTA DI LEGGE ITALIANA

di Avv. Antonella Matricardi
La sharing economy, ossia il consumo condiviso
L’idea di sharing economy, strettamente connessa a quella di resilienza come capacità di ottimizzare risorse ed energie nelle situazioni di crisi, realizza un approccio economico nuovo rispetto ai modelli tradizionali di scambio e redistribuzione, attraverso la natura pervasiva della rete mobile e ubiqua, declinata nella forza diffusiva dei social media.
Singoli individui diventano attori economici, creatori di un valore condivisibile in termini di beni, servizi e conoscenze, per proiettarne la spendibilità in un mercato dalle dimensioni ampie in cui prassi e piattaforme collaborative consentono strategie commerciali non eterodirette ma partecipative.
Le community, composte da utenti interessati a fornire una prestazione, da semplici visitatori o potenziali clienti, partecipano alle fasi non solo di creazione e distribuzione ma anche di promozione del prodotto, recensendolo quali precedenti utilizzatori o, incidendo con la frequenza delle visite sul sito, a determinare il prezzo delle inserzioni pubblicitarie.
Questa, più o meno, una visione iniziatica, quasi stereotipata del fenomeno.
In realtà, la sharing economy, con le sue più recenti articolazioni, si rivela essere sistema complesso e affascinante la cui definizione ormai non può ragionevolmente essere ingabbiata in semplicistiche formule promozionali o tantomeno da chiusure tout court demonizzanti.
Un’illusione, una chimera o veramente una risposta all’impasse dell’attuale crisi economica ?
Accanto ai numerosi sostenitori, la categoria degli scettici intravede nel consumo condiviso solo un estemporaneo motore alternativo all’economia tradizionale al quale corrispondono eccessivi entusiasmi e sopravvalutazioni mediatiche.
Incremento delle opportunità di business, capacità di creare nuova occupazione,  ma, nel lungo periodo, molto probabilmente un’iperflessibilità del lavoro priva di tutele e un andamento generale troppo condizionato dall’umoralità della rete, senza contare una già evidente emergenza in tema di privacy.
Queste, in estrema sintesi, alcune vulnerabilità che hanno motivato, non senza l’ambizione di poter governare un processo così esteso e inarrestabile, recentissime iniziative legislative, proprio a partire dal nostro paese.
Il 27 gennaio scorso è stata, infatti, presentata alla Camera del Deputati la proposta di legge n. 3564 e parallelamente depositato il 3 marzo in Senato il disegno di legge n. 2268.
Pur essendo testi sostanzialmente sovrapponibili, appaiono essenziali nel secondo gli aspetti della tutela consumieristica e della libertà di concorrenza, mentre dal primo emerge una maggiore attenzione del legislatore alla regolamentazione dell’attività di condivisione dei siti e portali web.
Il testo presentato alla Camera
L’Intergruppo Parlamentare sull’Innovazione ha diffuso in rete un’anticipazione della proposta di legge n. 3564, presentata ad iniziativa del deputato Veronica Tentori (PD), la cui pubblicazione sulla piattaforma Making Speeches Talk di Open Evidence consente all’utente dal 2 marzo al 31 maggio 2016 di apportare, in riferimento ad ogni singola disposizione, osservazioni e commenti.
Si tratta di un testo composto da 12 articoli che preliminarmente introduce il concetto di appartenenza agli operatori stessi del valore generato da beni e servizi messi a disposizione dei fruitori: il gestore -che agisce solo come abilitatore della piattaforma- non è datore di lavoro, essendo concettualmente escluso l’elemento della subordinazione.
Se il fine ultimo del legislatore è quello di garantire trasparenza, leale concorrenza, equità fiscale e tutela dei consumatori, in tale ottica dovrebbe porsi l’istituzione del Registro Elettronico Nazionale presso l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato.  All’AGCM è attribuita la funzione di regolazione e vigilanza sulle attività dei portali con il compito di segnalare, nella relazione annuale alle Camere, eventuali ostacoli normativi/amministrativi alla diffusione dell’economia di condivisione, insieme a possibili correttivi e  sempre in sintonia con le normative europee.
Centrale  appare la previsione del documento di politica aziendale che, predisposto dai gestori delle piattaforme e approvato dall’AGCM, costituisce adempimento vincolante  per l’iscrizione al Registro Nazionale. Fra le condizioni contrattuali sottoscritte dagli utenti non potranno essere inserite riserve dirette a determinare uno squilibrio nei rapporti a favore dell’abilitatore. Concessioni di esclusiva, accettazione di tariffe obbligatorie, ingerenze o controlli nell’esecuzione delle prestazioni e cessioni gratuite non revocabili dei propri diritti d’autore sono clausole espressamente indicate come nulle, anche se accettate dai condividenti.
Quali garanzie obbligatoriamente previste nel documento, sono imposti i pagamenti in via elettronica per le transazioni economiche e richieste le registrazioni univoche di tutti gli utenti sul sito, nonché le informazioni circa le coperture assicurative stipulate.
E’ prevista un’imposizione fiscale flessibile e diversificata in cui il reddito da attività di economia della condivisione non professionale dovrà essere indicato in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi, richiedendo, se inferiore alla soglia di 10.000 euro, l’applicazione di un’imposta pari al 10%, mentre i redditi superiori dovranno essere cumulati con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, quindi assoggettati all’aliquota corrispondente.
Il testo si conclude con l’obbligo di predisporre strumenti per la verifica, modifica e rapida eliminazione dei dati utenti in tema di tutela della riservatezza e con la previsione di misure sanzionatorie pecuniarie e sospensive dell’attività per i portali non iscritti al Registro Nazionale o privi del documento di policy, ricorrendo l’infrazione anche nei casi in cui gli stessi non si siano adeguati, entro i termini indicati, alle diffide dell’Authority.
Il testo depositato in Senato       
Come nella bozza di legge presentata alla Camera, l’articolato ad iniziativa parlamentare del senatore Mauro Del Barba (PD) circoscrive l’elemento caratterizzante della sharing economy al fatto “che le iniziative di condivisione non siano strettamente legate a una logica di profitto e consumo ma a uno schema di ottimizzazione e di risparmio con una ovvia attenzione ai paradigmi di innovazione sociali quali, ad esempio, la sostenibilità ambientale, lo scambio culturale, la ricerca scientifica, ottenendo così un risparmio di spesa ed eventualmente un reddito“.
Vengono pertanto espressamente escluse le attività svolte con modalità operative imprenditoriali, poichè la condivisione del bene o del servizio non deve essere svolta professionalmente. Al fine di tutelare la concorrenza e impedire un utilizzo elusivo della disciplina speciale, i soggetti che esercitano un’attività organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi dovranno rimanere assoggettati alle norme civilistiche in materia di impresa.
Il testo è composto da 9 articoli; un primo blocco di norme conferma gli obblighi per i portali di condivisione nella tracciabilità dei pagamenti, nei meccanismi di controllo dei servizi offerti, nelle coperture assicurative e nella tutela della riservatezza dei dati personali e delle informazioni acquisite da utilizzatori e fruitori nell’attività di condivisione.
Di rimando, la mancata iscrizione nel Registro Nazionale on line o il mandato adeguamento all’intimazione dell’Authority conferma le sanzioni pecuniarie e la sospensione dell’attività fino alla realizzazione degli adempimenti richiesti.
Le disposizioni non parlano espressamente di documento di politica aziendale ma di condizioni generali di contratto utilizzate che il gestore deve comunicare all’AGCM, escludendo sempre l’inserimento di clausole di esclusiva o indicanti tariffe predeterminate.
L’operatore dovrà svolgere la propria attività nel rispetto degli standard minimi di sicurezza ed igiene che verranno dettagliati con regolamento ministeriale, mentre è prevista l’applicazione dell’art. 2043 c.c., a tutela del consumatore, laddove i danni eventualmente subiti non siano altrimenti risarcibili, stante l’acclarata esclusione della risarcibilità per quella tipologia di pregiudizio che può derivare dalle prestazioni tra privati senza previsione di un corrispettivo.
In tema di tutela della concorrenza il disegno di legge distingue tra attività sottoposte a specifici regimi autorizzatori e attività apparentemente non economiche che, commercializzando prodotti e servizi on line senza essere soggette  a tassazione od obblighi igienico-sanitari, determinano situazioni di concorrenza sleale. Per le prime viene quindi previsto che, con regolamento ministeriale, siano indicati i limiti massimi temporali e di reddito consentiti nell’anno solare per l’attività di condivisione.
Il legislatore vuole così riconoscere la coesistenza di approcci economici diversi, comunque funzionali a soddisfare domande differenti, al fine di evitare che, nei confronti di operatori soggetti a particolari regimi autorizzatori, non prevalgano operatori concorrenti in grado di agire senza alcuna regolamentazione.  Sono escluse, pertanto, dall’utilizzazione o fruizione in forma condivisa, quelle attività intellettuali il cui esercizio sia subordinato all’iscrizione in appositi albi o elenchi.
La fiscalità sembra rimanere anche nel testo presentato in Senato, secondo alcuni commentatori, un nodo irrisolto o, perlomeno, semplicisticamente affrontato. Viene disposto, infatti, che i proventi derivanti dalla condivisione, se inferiori nell’anno solare alla somma di 10.000 euro, non debbano concorrere alla formazione del reddito del condividente e che, fino a tale limite, siano soggetti all’imposta sostitutiva del 10% con la condizione di sostituti d’imposta assegnata ai gestori. Naturalmente, a tal fine, s’intenderanno cumulate tra loro, eventuali plurime attività di condivisione.
I limiti della proposta italiana  
La Commissione Europea che ha annunciato la Digital Single Market Strategy, ossia lo sviluppo di un’agenda europea sull’economia collaborativa, dovrebbe concludere entro pochi mesi ormai l’elaborazione delle linee guida. Nel febbraio scorso i rappresentanti dell’economia industriale europea della collaborazione ( praticamente le 47 aziende leaders della s.e.) hanno rivolto al primo ministro olandese, Mark Rutte, presidente di turno della UE, una lettera aperta per sollecitare una strategia unica, temendo possibili freni burocratico-legislativi nei paesi membri allo sviluppo dei nuovi modelli di mercato.
A prescindere dal sotteso intento di quello che è sembrato un vero e proprio appello alla competizione da parte delle multinazionali-sharing, la proposta italiana è nel frattempo giunta per prima, suscitando negli addetti ai lavori apprezzamenti per il tempismo ma qualche perplessità nel merito.  Entrambe le bozze sembrano infatti troppo generiche e difficilmente applicabili a realtà dalle diverse strutture e dimensioni, pur comprese nello stesso complesso sistema.
Nella distinzione, ad esempio, tra rental economy (in cui si affermano forme di business vero e proprio) e la semplice idea di condivisione di beni e servizi, il modello fiscale suggerito rischia di creare uno squilibrio competitivo a scapito dei cd. servizi on line decentralizzati. Senza contare poi, l’attuale indisponibilità di uno specifico prodotto offerto sul mercato per le obbligatorie coperture assicurative e l’assenza di disposizioni in tema di previdenza.
L’inserimento di oneri e vincoli per i gestori sembra, peraltro, incompatibile con le dinamiche di un’economia veloce, di quasi impossibile attuazione per quelle nuove piattaforme operate direttamente dagli utenti.
Il percorso parlamentare della proposta italiana è, tuttavia, appena iniziato, necessariamente soggetto ad una fase d’implementazione nell’ambito della quale occorrerà tener conto di un contesto in continua evoluzione e che la natura del lavoro sta cambiando, come sta cambiando la natura dell’impresa.
C’è sharing e sharing, ricorda Daniele Viotti, europarlamentare che nel giugno 2015 ha presentato un progetto pilota per il quale sono stati inseriti due milioni e mezzo di euro nel bilancio della UE e che vuole sostenere le realtà di dimensioni minori rispetto alle grandi piattaforme dalle quali le prime rischiano di essere oscurate.
C’è sharing e sharing : la nuova economia non punta solo a logiche meramente commerciali ma è soprattutto sociale, nella collaborazione tra persone, nella condivisione in rete di spazi, esperienze e talenti.
E’ un grave errore, una sottovalutazione imperdonabile guardare all’economia collaborativa come ad un’esperienza che risenta di confini, diversamente regolata a seconda delle singole legislazioni nazionali. Per questo, continua Viotti, sarebbe interessante che fosse l’Unione a fare il lavoro di raccordo tra le diverse realtà e a dare risposte alle questioni aperte, perchè se l’Europa è intenzionata a investire sul settore, ritenendolo un tema sempre più centrale, l’assenza di un confine chiaro dei fenomeni di sharing economy rischia di oscurare l’esistenza delle esperienze minori, cannibalizzate mediaticamente dalle grandi piattaforme.