martedì 31 dicembre 2019


Frode fiscale: una efficace prova a favore di chi l’ha commessa
IL FATTO
Un marito divorziato apprende che la moglie, utilizzando la normativa fiscale di favore per l’acquisto della prima casa, ha comprato un immobile trasferendovi la propria residenza.
Sperando così di rientrare in possesso della casa familiare, che è di sua esclusiva proprietà, ma che era stata assegnata alla moglie perché vi abitasse con il figlio della coppia, chiede la modifica delle condizioni del divorzio e la restituzione del bene.
La signora si difende ammettendo candidamente di aver trasferito la residenza solo al fine di eludere le leggi fiscali e di approfittare delle agevolazioni dell’acquisto della prima casa; ma in realtà dichiara di non aver mai davvero trasferito la propria dimora abituale, che è sempre rimasta nella casa familiare.
Come ciliegina sulla torta, la signora dichiara che, compiuta la frode fiscale mediante il fittizio trasferimento di residenza, dopo alcuni mesi ha concesso in locazione la nuova casa a terzi, al fine di percepire il canone continuando ad abitare gratuitamente nella casa familiare.
Il Tribunale, per accertare la verità dei fatti, sente come testimone il figlio della coppia, ormai maggiorenne, senza porsi il problema di un suo interesse diretto all’esito del giudizio, e cioè di continuare ad abitare nella casa in cui ha sempre vissuto.
Il figlio conferma che l’acquisto dell’immobile come prima casa è avvenuto al solo fine di evadere il fisco, che l’intero disegno sarebbe stato suggerito dal notaio rogante, che la residenza in realtà non è mai stata trasferita se non fittiziamente e soltanto per alcuni mesi.
Sulla base di queste prove il Tribunale giustifica la falsa dichiarazione contenuta nell’autocertificazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n° 445 del 2000 – nonostante questa integri il delitto previsto dall’art. 483 cod. pen. – nonché la frode fiscale (non una semplice omissione o evasione, ma un comportamento dolosamente preordinato per pagare una imposta ridotta).
Rigetta pertanto la domanda dell’incauto proprietario esclusivo della casa, colpevole di aver chiesto la restituzione del proprio bene, e lo condanna alla rifusione delle spese processuali.
IL DIRITTO
Scire leges non est earum verba tenere sed vim ac potestatem, scriveva Celso: sapere le leggi non è conoscerne le parole, ma comprenderne lo spirito e la forza.
Anziché denunziare l’illecito, il Tribunale lo ha indirettamente premiato.
La signora è uscita vittoriosa dal procedimento avviato dall’ex marito, ha mantenuto l’assegnazione della casa familiare e percepisce comodamente il canone di locazione dell’immobile acquistato in evasione.
Siamo dinanzi ad una violazione dell’articolo 331 cod. proc. pen.
Quest’ultimo punisce il pubblico ufficiale che, nell’esercizio della propria funzione, abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio – proprio come l’art. 483 cod. pen. – ed ometta di denunziarlo al pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria; oggetto della norma è la conoscenza di un fatto-reato diverso ed ulteriore rispetto a quello oggetto del giudizio.

La condotta della signora integra il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: questa si realizza – secondo l’esegesi della Suprema Corte di Cassazione – anche ove vengano rese dichiarazioni sostitutive (come le autocertificazioni previste dagli artt. 46 e 47 del D.P.R. n° 445 del 2000) non corrispondenti a verità.
Gli ermellini hanno recentemente puntualizzato che le dichiarazioni sostitutive di certificazioni sono pienamente equiparate, agli effetti penali, agli atti pubblici e, pertanto, la falsa dichiarazione di trasferimento di residenza resa ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n° 445 del 2000 e rilasciata all’ufficio anagrafe comunale integra il delitto ex art. 483 cod. pen. (Cass. Pen., sez. V, 27 giugno 2018, n° 29469).
I fatti appaiono estremamente chiari e sconcertanti, la loro trasposizione nel provvedimento giudiziario lascia allibiti. Nessuna segnalazione all’Agenzia delle Entrate per la revoca dei benefici fiscali ingiustamente goduti e nessuna trasmissione di atti al Pubblico Ministero che l’obbligatoria azione penale derivante da un reato perseguibile d’ufficio
Proprio il sistema giudiziario, che dovrebbe disincentivare la collettività dal realizzare condotte siffatte, utilizza fatti illeciti come prove a favore del loro autore.
Lo spirito della legge è sfuggito al Tribunale di Catania.
Che ne direbbe Celso?
Avv. Antonino Ciavola e Dott.ssa Rosanna Ciavola