AVVOCATO
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 23-12-2009, n. 27213
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 23-12-2009, n. 27213
Svolgimento del processo
Con esposto
pervenuto al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di (OMISSIS) il 13
giugno 2005, C.P., residente a (OMISSIS), imputato nel procedimento
penale pendente innanzi alla Corte d'Assise di Campobasso per
l'omicidio di D. G., moglie dell'esponente, riferiva quanto segue: di
aver perduto la moglie, assassinata nella casa di abitazione della
famiglia, subendo egli stesso un'aggressione che ne aveva determinato
il ricovero all'Ospedale di (OMISSIS), dal quale era stato dimesso il
giorno successivo;
di essere stato
sentito, qualche ora dopo il ricovero, a sommarie informazioni
testimoniali e di essere stato al tempo stesso raggiunto dall'avv.
D.P.A., venuto da (OMISSIS) in ragione di un consolidato rapporto
d'amicizia e al quale aveva affidato incarico di difensore nel
relativo processo penale che vedeva esso C. inizialmente individuato
quale parte offesa;
che a seguito di
ciò, detto avvocato si era trattenuto per diversi giorni in
(OMISSIS), provvedendo alla nomina di un consulente di parte per
presenziare all'autopsia sul corpo della moglie ed assumendo una
serie di notizie sui suoi rapporti familiari e sulla situazione
economica della famiglia;
che dopo alcuni
giorni il D.P. gli aveva comunicato, senza alcuna giustificazione, di
non volerlo più assistere;
che alla prima
udienza davanti alla Corte d'Assise di Campobasso, il D.P. si era
costituito, contro l'esponente, a favore di altri parenti della
vittima (figlio, genitori e germani) quali parti civili, tra l'altro
facendo uso delle informazioni in precedenza acquisite;
che dopo
l'escussione di un teste ( S.A.) da parte dello stesso D.P.,
quest'ultimo aveva depositato memoria unitamente al verbale delle
dichiarazioni rese dall'esponente quale persona informata sui fatti,
che a seguito di ciò assumeva la veste processuale di iscritto nel
registro degli indagati e poi di imputato per il reato di omicidio
volontario. Con lettera in data 20.6.2005, il Consiglio dell'Ordine
degli Avvocati di (OMISSIS) trasmetteva copia dell'esposto al D.P.,
che presentava memoria in data 4.07.2005, con cui, tra l'altro
sosteneva di non aver mai difeso il C. in qualità di imputato.
Il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) disponeva l'apertura di un
procedimento disciplinare nei confronti del D. P. per violazione
degli artt. 5, 6, 7, 51 del Codice Deontologico (a decorrere dal
16.4.2002) e, in seguito, con decisione 19 ottobre - 28 dicembre
2007, gli irrogava la sanzione disciplinare della sospensione
dall'esercizio dall'attività professionale per mesi tre;
Riteneva, in
particolare, il Consiglio che l'avv. D.P. avesse assunto la difesa di
P.C. il giorno stesso dell'omicidio della moglie e che, in costanza
di tale mandato, egli avesse espletato attività difensiva nel suo
interesse, tra l'altro assumendo a sommarie informazioni il teste S.
e conferendo incarico di consulenza tecnica; inoltre che la revoca
del mandato celasse in realtà una rinuncia di detto difensore e che
il disposto dell'art. 51 del Codice Deontologico fa divieto
all'avvocato di assumere incarico contro un ex cliente (soprattutto
quando il nuovo incarico inerisce lo stesso procedimento in cui è
stato espletato il precedente incarico). Il Consiglio riteneva poi
infondate ulteriori ipotesi accusatorie e, specificatamente, quella
dell'utilizzo delle notizie ricevute dal l'assistito. Avverso tale
decisione il D. P. ricorreva al Consiglio Nazionale Forense che, con
la decisione in esame depositata in data 9/1/2001, rigettava il
ricorso e confermava quanto in precedenza statuito.
Ricorre per
Cassazione R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, ex art. 56 il D.P. con due
motivi.
Non ha svolto
attività difensiva l'intimato Consiglio.
Il ricorrente,
dopo aver premesso che anche le decisioni del Consiglio Nazionale
forense sono soggette all'obbligo di motivazione ai sensi dell'art.
111 Cost.,
comma 6, e ai sensi dell'art.
360 c.p.c.,
comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.Lgs.
n. 40 del 2006,
art. 2),
deduce:
con il primo
motivo, violazione e fai sa applicazione degli artt. 5, 6, 7 e 51 del
Codice Deontologico Forense e relativo difetto di motivazione;
con il secondo
motivo, vizio della decisione per eccesso e sviamento di potere.
Il ricorso non
merita accoglimento.
Preliminarmente
deve rilevarsi, quanto al dedotto difetto di motivazione, che, come
già affermato da questa Corte (tra le altre, S.U. n. 26182/2006)
anche le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia
disciplinare sono soggette all'obbligo di motivazione sancito per
ogni provvedimento giurisdizionale dall'art.
111 Cost.,
comma 6, e, pertanto, il vizio di violazione di legge per il quale le
suddette decisioni sono censurabili dinanzi alle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione comprende anche il difetto di motivazione,
riconducibile all'art.
360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, richiamato dal medesimo art., u.c. (nel testo
modificato dal D.Lgs.
2 febbraio 2006, n. 40,
art. 2),
che si traduca in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su
punti decisivi dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, senza che
la deduzione del suddetto vizio possa essere intesa ad ottenere un
riesame delle prove e degli accertamenti di fatto.
Ciò detto, è da
rilevarsi che non solo non sussiste detto difetto motivazionale, ma
anche che il Consiglio Nazionale Forense ha dato ampiamente conto
della propria decisione sulla base di una compiuta valutazione delle
risultanze di giudizio, non omettendo affatto l'esame del rilevante e
decisivo punto avente ad oggetto la consapevolezza del D.P. del
sussistente conflitto,
sul piano processuale, di interessi
tra il C. e gli altri familiari, poi costituitisi parte civile. Ed,
infatti, nella impugnata decisione, a parte la puntuale ricostruzione
dei fatti, di cui alle pagg. 7 e 8, il Consiglio Nazionale afferma
che: "dal tenore della memoria depositata il 19.3.2002 dall'avv.
D.P., si evince che la nomina del nuovo difensore si accompagna alla
dichiarazione di rinuncia del mandato da parte del professionista, e
non alla revoca del mandato da parte del cliente; inoltre, dalle
dichiarazioni rese dallo stesso D.P. in udienza davanti alla Corte
d'Assise di Campobasso, si evince con chiarezza che il
professionista, avuto sentore che il C. potesse assumere la posizione
di indagato, aveva rimesso il mandato...tuttavia ciò che rileva, in
ordine alla condotta dell'incolpato, è che lo stesso, dopo aver
avuto la percezione della particolare situazione del C., abbia
assunto la difesa di altre parti offese, chiedendo lo svolgimento di
complesse indagini nei con fronti del suo precedente assistito".
E' evidente,
dunque, come il Consiglio Nazionale, contrariamente a quanto
prospettato in ricorso, abbia tratto da un attento esame degli
elementi di causa (non più valutabili nella presente sede), il
convincimento della consapevolezza del D.P. riguardo a detto
conflitto,
per poi correttamente ritenere sussistente la violazione delle norme
del Codice Deontologico degli avvocati, con particolare riferimento
all'art. 51, che vieta all'avvocato di assumere un mandato
professionale contro un proprio precedente assistito, tanto più
quando il nuovo incarico sia inerente al medesimo procedimento nel
quale il difensore abbia assistito un'altra parte in posizione di
evidente conflitto.
In relazione al
mancato svolgimento di. attività difensiva da parte dell'intimato
Consiglio non si deve provvedere in ordine alle spese della presente
fase.
LA CORTE Rigetta
il ricorso.
Così deciso in
Roma, il 20 ottobre 2009.
Depositato in
Cancelleria il 23 dicembre 2009