ANTITRUST E CNF: CRONACA DI UNA SANZIONE ANNUNCIATA
di Avv.
Antonella Matricardi
Com’è ormai
noto, con la delibera del 10/02/16 (Bollettino
n.5 del 29/02/16,
I748B – Condotte restrittive del CNF-Inottemperanza, n. 25868)
l’Agcm ha comminato al Consiglio Nazionale Forense una sanzione di
912.536,40 euro, per non aver posto termine all’infrazione
dell’art. 101, Trattato sul funzionamento dell’Unione, con ciò
integrando la violazione dell’art. 15, comma 1 e 2, L.
n. 287/90 per
inottemperanza al provvedimento n.
25154 del 22/10/14.
L’Authority
aveva infatti accertato, da parte della massima istituzione forense,
il compimento di un’infrazione
unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente
nell’adozione di due decisioni (la circolare n. 22/06 e il parere
n. 48/12) […] volte
a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla
determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, con
evidente svantaggio per i consumatori finali.
Nel lasso di
tempo trascorso, il CNF avrebbe dovuto adoperarsi per rimuovere cause
ed effetti della violazione, anche provvedendo, entro il 28/02/15, al
deposito di una relazione illustrativa circa la condotta riparativa
concretamente assunta, non senza avere dato, di tali misure, adeguata
informazione agli iscritti.
Nel gennaio
2015, invece, impugnando il provvedimento sanzionatorio, ne otteneva
solo l’annullamento parziale. Il Tar Lazio infatti con la
sentenza n.
8778 del 17/06/15 confermava
il giudizio Agcm di anticoncorrenzialità in relazione al solo parere
n. 48/12, sostanzialmente limitante le possibili forme di utilizzo
degli strumenti e spazi informatici per veicolare la pubblicità
professionale.
La cronologia
impietosa di impugnazioni anche davanti al Consiglio di Stato, di
interpretazioni difensive e possibili misure riparative, registra nel
maggio 2015 l’apertura del giudizio di ottemperanza, nell’ambito
del quale nemmeno un’interpretazione autentica, in forma di
stigmatizzazione del divieto di accaparramento di clientela, appariva
sufficiente a correggere del parere contestato la valenza
restrittiva. Come comportamento analogo a quello oggetto
dell’infrazione, non poteva non emergere l’inadeguatezza dei
canoni deontologici relativi al dovere di corretta informazione con
l’assurda, arcaica distinzione tra siti web con dominio proprio e
senza reindirizzamento.
Quando, con
l’apertura alla libertà dei mezzi comunicativi, approvata in via
definitiva il 22/01/16, la versione dell’art. 35 C.D. viene
finalmente modificata, l’ennesimo epilogo sanzionatorio è
comunque imminente, integrandosi come tassello nel preoccupante
mosaico delle recenti, discutibili iniziative e decisioni
istituzionali.
Il
fascino discreto dell’azione risarcitoria.
La società
segnalante, nella fase di istruttoria per la delibera n. 25154/14,
aveva più volte evidenziato come la creazione della piattaforma on
line [AmicaCard] avesse richiesto elevati investimenti e come il
parere censurato avesse determinato una perdita economica per i
recessi degli avvocati che si erano iscritti prima e per le mancate
iscrizioni successive.
Da parte sua,
il CNF aveva insistito sulla natura non vincolante del
parere incriminato, poichè
espresso in risposta al quesito di un singolo COA, quindi
caratterizzato da una circoscritta diffusione. Era, invece,
emerso che alcuni Ordini territoriali, in seguito alla conoscenza di
tale orientamento, avevano invitato i propri iscritti a dissociarsi
dal circuito curato dalla segnalante e che, per un lungo periodo di
tempo, la corrispondenza, sul motore di ricerca Google, tra le parole
chiave richiamanti la denominazione della piattaforma e i primi
risultati, aveva rilevato prevalentemente contenuti riguardanti
l’illegittimità del suo utilizzo.
Obiettivamente,
non è marginale che il CNF applichi nell’esercizio delle sue
funzioni -giurisdizionale e regolatoria-, disposizioni deontologiche
anche inevitabilmente incidenti sul comportamento economico degli
iscritti, obbligati al rispetto di tali canoni e principi. Nemmeno
sarebbe concepibile che, pronunciandosi sugli illeciti disciplinari,
possa discostarsi dagli orientamenti preventivamente espressi in
materia. Per ovvi motivi, inoltre, la rilevazione da parte del CNF di
un comportamento violativo, che sia in forma di provvedimento o di
semplice parere, sempre e comunque, inibirà l’avvocato dal
proseguire quel determinato comportamento o dall’ adottarlo.
E’ evidente
come, anche in questo caso, l’accertamento Antitrust dell’intesa
restrittiva, primo e secondo round, non possa non aprire (o meglio,
spalancare) un ampio scenario in campo civilistico, come consentito
dall’art. 33, comma 2, L. n. 287/90. Ed è quantomeno
opportuno che organismi di rappresentanza professionale (assimilabili
alle associazioni di imprese, secondo quanto concluso dall’Agcm)
decidano di assorbire fin d’ora, soprattutto culturalmente, le
novità della Direttiva
2014/104/UE [1],
già condizionanti gli orientamenti dei giudici nazionali,
soprattutto in tema di “prova privilegiata” dell’accertamento
antitrust e dei criteri di indennizzo per una tutela effettiva dei
danni da condotta anticoncorrenziale.
Infine,
in ordine sparso: la Grande Bellezza, ossia la deontologia
unidirezionale.
In effetti,
per l’organo di rappresentanza esclusiva a livello istituzionale
dell’avvocatura, i segni di avverse congiunture astrali annoverano
recenti transiti veramente degni di nota. In ordine sparso, si
registrano in una sorta di accanimento terapeutico:
- l’afflizione di circa 912.000 euro che segue alla precedente, pur ridotta a quasi 514.000 euro,
- l’avvio di una dispendiosa iniziativa editoriale, tanto per cominciare, inconciliabile con il ruolo di organo giurisdizionale del CNF,
- la situazione di stallo di un regolamento elettorale COA, illegittimo e parzialmente annullato dai giudici amministrativi [2],
- l’autonoma attribuzione di emolumenti e altre indennità di carica per funzioni storicamente nate per spirito di servizio.
La
deontologia unidirezionale tollera
con malcelata insofferenza la blasfema bizzarria di quei comuni
mortali che con insistenza chiedono chi dovrà accollarsi onerose
spade di Damocle: non è un caso che, in particolare per le
recenti autoliquidazioni, anche voci ordinistiche stiano
invocando la ragionevolezza di una revoca o di una sospensione.
Tutto questo e
altro, mentre quel sacrale rispetto delle regole appare dirottato per
selezionare ossessivamente gli strumenti della moderna comunicazione
col rischio di reprimerne le enormi potenzialità. Strumenti che, per
esperienza, sfuggono a misure di rigido governo, incuranti di ogni
forma di censura, al massimo condizionati solo da filtri di
continenza con i quali possono sufficientemente interagire i principi
deontologici della dignità professionale, del decoro, della lealtà,
purchè non apoditticamente intesi.
La pubblicità
professionale è solo un singolo, specifico aspetto di uno
strutturato universo di informazioni e formule comunicative, di
fronte al quale l’etica ideale di comportamento non sarà più
tale, se continuerà ad inibire immediatezza e contestualità
dell’interattività in rete col richiamo a pretese espressive del
tutto esclusive ed elitarie.
Quanto ad
alcuni effetti collaterali, forse necessari, della simultaneità e al
paventato, estremo rimedio delle segnalazioni disciplinari interne,
in genere e per chiunque, vale la connessione tra rispetto invocato e
coerenza: scrisse nel suo primo romanzo Ignazio Silone che per
capir bene le parole sacre bisogna trovarsi in stato d’innocenza e
che anche allora però esse possono rimanere misteriose.
[3]
[1] La
Direttiva 2014/104/UE è entrata in vigore il 25/12/15 ed è in
attesa di recepimento in ogni singolo Stato Membro entro il 27/12/16
[3] Ignazio
Silone, Una manciata di more, 1952, Ed. Mondadori