venerdì 1 aprile 2016

ANTITRUST E CNF: CRONACA DI UNA SANZIONE ANNUNCIATA


ANTITRUST E CNF: CRONACA DI UNA SANZIONE ANNUNCIATA

di Avv. Antonella Matricardi
Com’è ormai noto, con la delibera del 10/02/16 (Bollettino n.5 del 29/02/16, I748B – Condotte restrittive del CNF-Inottemperanza, n. 25868) l’Agcm ha comminato al Consiglio Nazionale Forense una sanzione di 912.536,40 euro, per non aver posto termine all’infrazione dell’art. 101, Trattato sul funzionamento dell’Unione, con ciò integrando la violazione dell’art. 15, comma 1 e 2, L. n. 287/90 per inottemperanza al provvedimento n. 25154 del 22/10/14.
L’Authority aveva infatti accertato, da parte della massima istituzione forense,  il compimento di un’infrazione unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni (la circolare n. 22/06 e il parere n. 48/12) […] volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, con evidente svantaggio per i consumatori finali.
Nel lasso di tempo trascorso, il CNF avrebbe dovuto adoperarsi per rimuovere cause ed effetti della violazione, anche provvedendo, entro il 28/02/15, al deposito di una relazione illustrativa circa la condotta riparativa concretamente assunta, non senza avere dato, di tali misure, adeguata informazione agli iscritti.
Nel gennaio 2015, invece, impugnando il provvedimento sanzionatorio, ne otteneva solo l’annullamento parziale. Il Tar Lazio infatti con la sentenza n. 8778 del 17/06/15 confermava il giudizio Agcm di anticoncorrenzialità in relazione al solo parere n. 48/12, sostanzialmente limitante le possibili forme di utilizzo degli strumenti e spazi informatici per veicolare la pubblicità professionale.
La cronologia impietosa di impugnazioni anche davanti al Consiglio di Stato, di interpretazioni difensive e possibili misure riparative, registra nel maggio 2015 l’apertura del giudizio di ottemperanza, nell’ambito del quale nemmeno un’interpretazione autentica, in forma di stigmatizzazione del divieto di accaparramento di clientela, appariva sufficiente a correggere del parere contestato la valenza restrittiva. Come comportamento analogo a quello oggetto dell’infrazione, non poteva non emergere l’inadeguatezza dei canoni deontologici relativi al dovere di corretta informazione con l’assurda, arcaica distinzione tra siti web con dominio proprio e senza reindirizzamento.
Quando, con l’apertura alla libertà dei mezzi comunicativi, approvata in via definitiva il 22/01/16, la versione dell’art. 35 C.D. viene finalmente modificata, l’ennesimo epilogo sanzionatorio  è comunque imminente, integrandosi come tassello nel preoccupante mosaico delle recenti, discutibili iniziative e decisioni istituzionali.     
   
Il fascino discreto dell’azione risarcitoria.
La società segnalante, nella fase di istruttoria per la delibera n. 25154/14, aveva più volte evidenziato come la creazione della piattaforma on line [AmicaCard] avesse richiesto elevati investimenti e come il parere censurato avesse determinato una perdita economica per i recessi degli avvocati che si erano iscritti prima e per le mancate iscrizioni successive.
Da parte sua, il CNF aveva insistito sulla natura non vincolante del parere incriminato, poichè espresso in risposta al quesito di un singolo COA, quindi caratterizzato da una circoscritta diffusione.   Era, invece, emerso che alcuni Ordini territoriali, in seguito alla conoscenza di tale orientamento, avevano invitato i propri iscritti a dissociarsi dal circuito curato dalla segnalante e che, per un lungo periodo di tempo, la corrispondenza, sul motore di ricerca Google, tra le parole chiave richiamanti la denominazione della piattaforma e i primi risultati, aveva rilevato prevalentemente contenuti riguardanti l’illegittimità del suo utilizzo.
Obiettivamente, non è marginale che il CNF applichi nell’esercizio delle sue funzioni -giurisdizionale e regolatoria-, disposizioni deontologiche anche inevitabilmente incidenti sul comportamento economico degli iscritti, obbligati al rispetto di tali canoni e principi. Nemmeno sarebbe concepibile che, pronunciandosi sugli illeciti disciplinari, possa discostarsi dagli orientamenti preventivamente espressi in materia. Per ovvi motivi, inoltre, la rilevazione da parte del CNF di un comportamento violativo, che sia in forma di provvedimento o di semplice parere, sempre e comunque, inibirà l’avvocato dal proseguire quel determinato comportamento o dall’ adottarlo.
E’ evidente come, anche in questo caso, l’accertamento Antitrust dell’intesa restrittiva, primo e secondo round, non possa non aprire (o meglio, spalancare) un ampio scenario in campo civilistico, come consentito dall’art. 33, comma 2, L. n. 287/90. Ed è quantomeno opportuno che organismi di rappresentanza professionale (assimilabili alle associazioni di imprese, secondo quanto concluso dall’Agcm) decidano di assorbire fin d’ora, soprattutto culturalmente, le novità della Direttiva 2014/104/UE [1], già condizionanti gli orientamenti dei giudici nazionali, soprattutto in tema di “prova privilegiata” dell’accertamento antitrust e dei criteri di indennizzo per una tutela effettiva dei danni da condotta anticoncorrenziale.    
    
Infine, in ordine sparso: la Grande Bellezza, ossia la deontologia unidirezionale.
In effetti, per l’organo di rappresentanza esclusiva a livello istituzionale dell’avvocatura, i segni di avverse congiunture astrali annoverano recenti transiti veramente degni di nota. In ordine sparso, si registrano in una sorta di accanimento terapeutico:
  •  l’afflizione di circa 912.000 euro che segue alla precedente, pur ridotta a quasi 514.000 euro,
  • l’avvio di una dispendiosa iniziativa editoriale, tanto per cominciare, inconciliabile con il ruolo di organo giurisdizionale del CNF,
  • la situazione di stallo di un regolamento elettorale COA, illegittimo e parzialmente annullato dai giudici amministrativi [2],
  • l’autonoma attribuzione di emolumenti e altre indennità di carica per funzioni storicamente nate per spirito di servizio.

La deontologia unidirezionale tollera con malcelata insofferenza la blasfema bizzarria di quei comuni mortali che con insistenza chiedono chi dovrà accollarsi onerose spade di Damocle: non è un caso che, in particolare  per le recenti autoliquidazioni, anche voci ordinistiche  stiano invocando la ragionevolezza di una revoca o di una sospensione.
Tutto questo e altro, mentre quel sacrale rispetto delle regole appare dirottato per selezionare ossessivamente gli strumenti della moderna comunicazione col rischio di reprimerne le enormi potenzialità. Strumenti che, per esperienza, sfuggono a misure di rigido governo, incuranti di ogni forma di censura, al massimo condizionati solo da filtri di continenza con i quali possono sufficientemente interagire i principi deontologici della dignità professionale, del decoro, della lealtà, purchè non apoditticamente intesi.
La pubblicità professionale è solo un singolo, specifico aspetto di uno strutturato universo di informazioni e formule comunicative, di fronte al quale l’etica ideale di comportamento non sarà più tale, se continuerà ad inibire immediatezza e contestualità dell’interattività in rete col richiamo a pretese espressive del tutto esclusive ed elitarie.
Quanto ad alcuni effetti collaterali, forse necessari, della simultaneità e al paventato, estremo rimedio delle segnalazioni disciplinari interne, in genere e per chiunque, vale la connessione tra rispetto invocato e coerenza: scrisse nel suo primo romanzo Ignazio Silone che per capir bene le parole sacre bisogna trovarsi in stato d’innocenza e che anche allora però esse possono rimanere misteriose.  [3]


[1] La Direttiva 2014/104/UE è entrata in vigore il 25/12/15 ed è in attesa di recepimento in ogni singolo Stato Membro entro il 27/12/16

[3] Ignazio Silone, Una manciata di more, 1952, Ed. Mondadori