Sir Francis Bacon scriveva che la conoscenza è potere.
Un concetto semplice ma illuminante, che nel corso della storia si è presentato in più forme, divenendo oggetto delle riflessioni di più studiosi, filosofi, personaggi pubblici – tutti accomunati dal desiderio di insegnarci che sapere rende grandi, sapere può cambiare il mondo.
L’arma più potente che esista – così definiva il sapere anche Nelson Mandela – è oggi oggetto di un obbligo per i professionisti intellettuali, come gli avvocati, che nella conoscenza, nell’intelligenza, nella cultura e nella capacità di giudizio fondano un mestiere utile alla collettività.
Lo sancisce a chiare lettere il Decreto del Ministero della Giustizia n. 47 del 25 febbraio 2016 che, all’articolo 2, commi 1 e 2, ha previsto in capo al Consiglio dell’Ordine oneri di verifica triennale, nei confronti degli avvocati iscritti all’albo, della sussistenza dell’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente – individuata in elementi fra cui proprio il rispetto dell’obbligo di aggiornamento professionale secondo le modalità e le condizioni stabilite dal Consiglio Nazionale Forense.
La verifica ha ad oggetto le dichiarazioni fornite dagli avvocati, ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, e potrebbe condurre, ai sensi del successivo articolo 3, alla cancellazione dall’albo quando il Consiglio dell'Ordine circondariale accerta la mancanza dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione e l'avvocato non dimostra la sussistenza di giustificati motivi oggettivi o soggettivi.
Secondo la norma, dichiarazioni incomplete, false o addirittura assenti in merito all’assolvimento degli obblighi formativi possono portare alla perdita del diritto di permanere nell’albo degli avvocati, trovandosi la ratio della disciplina esaminata proprio nel concetto di apertura del presente elaborato: la conoscenza è potere, la conoscenza è un’arma.
Come può un professionista debitamente tutelare il proprio assistito in assenza di aggiornamento, oltre che di nuovi stimoli, di nuove idee e spunti derivanti dall’esame di fattispecie che non conosceva, in assenza di interpretazioni nuove?
Sovente capita di trovare più persone fuori che dentro le aule ove si tengono i convegni, in attesa del termine dell’incontro per poter finalmente timbrare il cartellino e fuggire – con i crediti formativi in tasca, al sicuro da qualsiasi sanzione derivante dal mancato raggiungimento della soglia minima richiesta. Eppure è dentro quei corsi, apparentemente lenti, lunghi o vertenti su argomenti già noti, che si nasconde la conoscenza: non sempre e non solo la formazione ha ad oggetto il mero esame degli ultimi aggiornamenti delle – infinite e sempre più cavillose – leggi vigenti.
Il confronto fra professionisti, la spiegazione di un caso concreto – come l’esperienza di un magistrato, messa a confronto col punto di vista di un avvocato, ad esempio – può farci accendere una lampadina in mente, svelando una sfaccettatura a cui non avevamo pensato.
E’ in questi momenti che si nasconde il potere della conoscenza – che non è e non dovrebbe essere intesa come un dovere ma come una fonte di potere, di maggiore sicurezza nell’affrontare il lavoro, con in mano maggiori strumenti per fronteggiarne ogni difficoltà e conoscerne ogni sfaccettatura.
Eppure, molto spesso la stragrande maggioranza degli avvocati tralascia questi obblighi, dimenticando il concetto che sta alla base delle norme, certa di non venire sanzionata perchè – strano ma vero – la normativa su riportata è ancora oggi priva di concreta applicazione.
L’articolo 2 del Decreto n. 47/2016, all’ultimo comma, prevedeva che con decreto del Ministero della giustizia, da adottarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente regolamento – nell’aprile del 2016 – sono stabilite le modalità con cui ciascuno degli ordini circondariali individua, con sistemi automatici, le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione, a norma dell'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Il decreto di attuazione non è mai venuto alla luce e, di conseguenza, il Consiglio dell’Ordine competente – laddove ravvisi una violazione degli obblighi formativi in capo all’avvocato iscritto – si limita sovente a decidere in autonomia, potendosi limitare ad agire solo in ambito disciplinare.
E’ quanto di recente accaduto a Novara, il cui C.O.A. ha interpellato il Consiglio Nazionale Forense che, con parere n. 15 del 19 aprile 2024, ha osservato che l’articolo 2, comma 5 del d.m. n. 47/2016 rinvia a successivo decreto del Ministro della Giustizia il compito di stabilire le modalità con cui ciascuno degli ordini circondariali individua, con sistemi automatici, le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione. La mancata adozione del citato decreto ministeriale rende tuttora non applicabile la disciplina della cancellazione per mancato rispetto del requisito dell’esercizio continuativo della professione, anche ove derivante dal mancato assolvimento dell’obbligo formativo. Ne deriva che la cancellazione per mancato assolvimento dell’obbligo formativo non è ancora operativa e che residuano in capo al COA le opportune valutazioni in merito a conseguenze di altro ordine del mancato assolvimento dell’obbligo in parola, quali la segnalazione al CDD per l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare.
Allo stato attuale, il Consiglio dell’Ordine di appartenenza dell’avvocato inadempiente può "solo" compiere valutazioni indipendenti, in assenza della automaticità della cancellazione dopo il riscontro della violazione degli obblighi formativi.
Potrebbe ben procedere alla segnalazione delle condotte scorrette dell’iscritto al Consiglio di Disciplina, in ossequio all’art. 11 della Legge Professionale Forense n. 247/2012 – che prevede in capo all’avvocato l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell'interesse dei clienti e dell'amministrazione della giustizia – e all’art. 15 del Codice Deontologico, che sancisce il medesimo l’obbligo di curare costantemente la preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori di specializzazione e a quelli di attività prevalente.
Ancora, l’articolo 25, comma 10, del Regolamento C.N.F. n. 6/2014 prevede l’applicazione di sanzioni disciplinari in caso di accertamento della violazione del dovere di formazione e aggiornamento professionale e la mancata o infedele attestazione di adempimento dell’obbligo.
In altre parole, la violazione degli obblighi di formazione può, anche senza costituire fonte di cancellazione dall’albo, condurre alle sanzioni adeguate e proporzionate alla infrazione commessa, ma ciò è ad oggi strettamente dipendente dalla diligenza dei singoli C.O.A. nell’effettuare le adeguate verifiche, nell’individuare le violazioni e nel segnalarle ai C.D.D.
L’atteggiamento accennato ut supra, del professionista che si approcci in modo svogliato ed apatico alla formazione, pur non potendo - ad oggi - condurre alla cancellazione dall’albo, può essere oggetto di esame da parte dell’organo di disciplina, che è solito fondare la scelta di una sanzione più o meno aspra proprio sull’atteggiamento dell’incolpato – come correttamente evidenziato dal C.D.D. di Genova che, nella decisione n. 20 del 12 marzo 2019, ha posto alla base dell’aggravamento della sanzione disciplinare, proprio l’atteggiamento apatico dell’incolpato verso gli obblighi di formazione continua.
In attesa del decreto di attuazione del Ministero della Giustizia, non resta che riflettere sull’importanza della formazione – allontanandoci per un attimo dal timore di una sanzione disciplinare ed apprezzandone l'importanza e le conseguenze fruttuose sulla nostra professione – e chiederci: cosa ne direbbe, secoli dopo, Sir Francis Bacon?
Avv. Rosanna Ciavola