martedì 3 giugno 2025

Prescrizione dell’azione disciplinare degli avvocati: arma a doppio taglio o norma di riequilibrio tempistico? - di Avv. Lucy Pappalardo


 

L’elemento tempo assume, nell’ambito della valutazione dei comportamenti degli avvocati che necessitino di correzione disciplinare, un ruolo fondamentale.

La prescrizione è disciplinata dall’articolo 56 della Legge Professionale Forense n. 247/2012, norma suscettibile di due letture, di due interpretazioni per certi versi contrastanti: costituisce un mezzo per evitare lungaggini processuali o un’arma a doppio taglio?

Analizziamo detta fattispecie di notevole portata, unitamente all’evidente parallelismo fra il procedimento disciplinare ed il rito penale.

 

Rilevabilità d’ufficio della prescrizione dell’azione disciplinare – sentenza 30202/23

La prescrizione dell’azione disciplinare è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento giudiziario – come di recente evidenziato dalle SS.UU. della Cassazione Civile con la recente sentenza n. 30202 del 31 ottobre 2023.

Il provvedimento verteva su un giudizio disciplinare promosso nei confronti di un Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per una serie di condotte di rilevanza penalistica, che sfociavano in illeciti disciplinari: dall’esame dei bilanci emergeva una serie di ammanchi e spese non documentate, indicate a titolo di rimborso per incarichi istituzionali asseritamente svolti in qualità di Presidente.

Gli atti venivano trasmessi alla Procura della Repubblica competente e il PM proponeva citazione a giudizio con l’accusa di peculato continuato ed aggravato, a fronte della accertata appropriazione in tempi dilazionati di più somme di denaro, per un totale pari a 250.000 euro.

Il Consiglio di Disciplina acquisiva poi la sentenza di condanna in primo grado per il delitto di peculato – con cui veniva fissata la pena di anni due di reclusione, con confisca delle somme – unitamente alla sentenza di conferma della Corte d’Appello.

Il procedimento disciplinare, a fronte della qualità di consigliere nazionale del C.N.F. fin dalla fase iniziale del procedimento e al momento dell’approvazione dei capi di incolpazione, proseguiva innanzi all’anzidetto organo, che acquisiva la sentenza penale di condanna negando la richiesta di sospensione del procedimento disciplinare, proposta sulla base dell'autonomia tra i due giudizi.

Il C.N.F.  irrogava l’ulteriore sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per anni due, ritenendo sussistente la colpevolezza dell’avvocato per le condotte contestate.

L’articolo 22 del Codice Deontologico prevede difatti, tra le altre, quali sanzioni applicabili nel caso di violazioni dei doveri professionali degli esercenti la professione forense, proprio la sospensione, consistente “nell’esclusione temporanea, da due mesi a cinque anni, dall’esercizio della professione o dal praticantato e si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura”.

L’applicazione di detta sanzione era ritenuta proporzionata, a fronte della disonorevole condotta posta in essere dall’avvocato, tanto sotto un profilo giuridico quanto sotto un profilo strettamente disciplinare.

La sua applicazione contrastava però con l’aspetto tempistico: la vicenda rientrava nell’ambito di applicazione della Legge Professionale Forense n. 247/2012, essendosi i fatti verificati successivamente al 2 febbraio 2013 – secondo cui la  prescrizione, aldilà degli effetti della sospensione e dell'interruzione, non può comunque essere prolungata di per un periodo superiore ad un quarto rispetto ai sei anni indicati dal comma 1 dell’art. 56 della Legge Professionale Forense: il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve di conseguenza ritenersi non superiore a sette anni e mezzo.

La normativa previgente – su cui si era basato l’organo di disciplina – prevedeva invece che la prescrizione, una volta interrotta, riprendesse a decorrere nuovamente per altri cinque anni.

Avverso il provvedimento del C.N.F. l’avvocato presentava, sulla base dell’anzidetta ricostruzione, ricorso in Cassazione, denunziando la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di prescrizione dell'azione disciplinare.

Gli ermellini accoglievano il ricorso ritenendo ammissibile l'eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare, essendo quest’ultima rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio: aderivano con la tesi dell’avvocato, essendo il regime di prescrizione applicabile proprio quello introdotto dall’art. 56 della Legge Professionale Forense n. 247/2012: l’illecito era stato commesso successivamente all’entrata in vigore della disposizione agevolatrice – di necessaria applicazione, in favore dell’avvocato.

Le condotte appropriative reiterate si erano protratte fino al 9 febbraio 2015.

Di conseguenza il termine di prescrizione  decorrente dal 9 febbraio 2015, si è protratto fino al 9 agosto 2022 e, tenuto conto della sospensione di un anno del giudizio disciplinare, il termine si era prescritto il 9 agosto 2023.

Sulla base di ciò, la Suprema Corte ha stabilito che l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare ha determinato la cancellazione senza rinvio della sentenza impugnata e l'estinzione dell'illecito disciplinare.

Parallelismi fra procedimento disciplinare e rito penale

E’ evidente come la nuova Legge Professionale Forense segua, sotto questo profilo, criteri di natura penalistica ed in particolare con il principio del favor rei sancito all’art. 2 cod. pen., che prevede “l’applicazione della pena più favorevole al reo”.

Il sistema procedimentale marcato nella Legge n. 247/2012 ha applicato al procedimento disciplinare principi ed istituti propri del procedimento penale, come il contraddittorio pieno con la difesa, la terzietà dei giudici rispetto al componente della sezione cui viene affidata l’istruttoria e la proposta di approvazione dei capi d’ imputazione; parimenti riscontriamo parallelismi anche nelle modalità di svolgimento del procedimento e nella previsione di un termine di prescrizione dell’azione disciplinare di 6 anni dalla condotta.

Tuttavia, a differenza della prescrizione dei reati che è norma di natura sostanziale, la prescrizione del procedimento disciplinare è norma di natura processuale: in altre parole, mentre la prescrizione prevista nel codice penale è causa di estinzione del reato, la prescrizione prevista nel procedimento disciplinare, sia con la vecchia che con l’attuale disciplina, è causa di estinzione dell’azione dell’organo disciplinare ma non del fatto illecito contestato.

 La disciplina previgente era ispirata ad un criterio di natura civilistica: la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni.

La riforma ha invece profondamente innovato la disciplina stabilendo un termine (sei anni dalla condotta) che può essere interrotto solo in tre casi tassativamente previsti dalla norma: con la comunicazione all'iscritto della notizia dell'illecito, con la notifica della decisione del consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF su ricorso.

La norma prevede altresì che dopo ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni ma se gli atti interruttivi sono più di uno in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 (sei anni) può essere prolungato di oltre un quarto.

Di conseguenza un procedimento disciplinare contro l’iscritto non può avere una durata maggiore 7 anni e 6 mesi dalla condotta illecita – proprio come emerso dall’esame della fattispecie del Presidente del C.O.A. deciso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, col provvedimento esaminato ut supra.

Riflessioni conclusive

Ciò detto ci si interroga sulla correttezza o meno di tale normativa dal punto di vista prettamente etico: è corretto che un professionista come l’avvocato, che si macchi di una condotta illecita indossando la toga, usufruisca di una agevolazione come quella sinora esaminata?

La ratio della prescrizione è quella di limitare l’eccessiva durata dei processi civili, penali ed amministrativi – garantendo altresì il diritto dei cittadini ad un risarcimento tutte le volte in cui non vengano rispettati quei principi volti ad evitare gli infiniti tempi di definizione di una controversia in sede giurisdizionale, che costituiscono da sempre una battaglia di civiltà dell’avvocatura tutta.

La previsione di un termine di prescrizione pertanto, ha l’obiettivo di garantire che il potere giudiziario venga limitato nel tempo anche per far sì che la sanzione applicata appaia contestualizzata al comportamento assunto, che sia attualizzata e non diventi obsoleta rispetto al contesto in cui viene applicata.

La prescrizione nasce per rappresentare proprio l’applicazione della giustizia, una giustizia che sanzioni sì i comportamenti scorretti e sconvenienti, ma in tempi ragionevolmente accettabili tali da garantire certezza e dignità al diritto ed a tutti i destinatari delle leggi – che essi siano privati o rappresentanti del diritto come gli avvocati.

                                                                                  Avv. Lucy Pappalardo