venerdì 24 ottobre 2025

Lotta alla cd. “medicina difensiva”: riflessione sul D.D.L. in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie - Avv. Rosanna Ciavola

 


George Bernard Shaw una volta ha scritto: “Non è che abbiamo perso la fede: l’abbiamo semplicemente trasferita da Dio alla professione medica”.

 

Dinanzi al recente D.D.L. proposto dal Ministero della Salute Orazio Schillaci – approvato dal Consiglio dei Ministri nell’adunanza del 4 settembre u.s. – è facile chiedersi da dove nasca la necessità di fornire uno scudo alla classe medica, destinataria di un numero elevatissimo di denunce, ma di rarissime condanne penali.

Numerosi medici legali, assicuratori, giornalisti, magistrati, avvocati e giuristi in generale hanno già sviscerato, per decenni, la questione della responsabilità medica.

Si tratta di un tema caro a molti, sovente fonte di guadagno per varie figure professionali – oltre che per i privati vittime di malpractices –che ha radici di natura sociologica: la collettività spesso punisce o desidera punire il medico per quello che la natura ha generato, per quello che l’esercente la professione sanitaria non è riuscito ad evitare, a prevedere, a cancellare come per miracolo – come farebbe appunto (per chi crede) un Dio.

Già qualche tempo fa, prima dell’urgenza di un’ulteriore riforma di settore, Francesco Introna aveva colto nel segno osservando che purtroppo le accuse ai medici sono diventate straordinariamente frequenti, e come è vero che tutti ricorrono al medico, così è ugualmente vero che nessuno si astiene dal giudicarne l’opera: è facile elogiare esageratamente il medico quando l’ammalato guarisce, così è altrettanto facile denigrarlo quando l’ammalato non guarisce. Avviene allora che ogni profano sappia alla perfezione ciò che si sarebbe dovuto fare e che invece non si è fatto e come quello che è stato, avrebbe dovuto invece farsi.

Che si scelga di utilizzare queste parole o quelle più risalenti dello scrittore irlandese Shaw, il concetto è ormai chiaro: il legislatore deve tutelare il cittadino dai danni derivanti da negligenza, imperizia ed imprudenza degli esercenti le professioni sanitarie, ma anche proteggere questi ultimi dagli infiniti attacchi, destinati altrimenti a moltiplicarsi, che rendono maggiormente gravoso – anche a livello prettamente psicologico – un mestiere non infallibile.

 

La responsabilità penale – riforma art. 590 sexies ed introduzione art. 590 septies c.p.

 Il Legislatore ha riformato via via nel tempo la disciplina della responsabilità penale degli esercenti le professioni sanitarie, iniziando con il noto art. 3 della Legge Balduzzi (D.L. n. 158/2012, convertito in Legge n. 189/2012) che prevedeva che “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve [...]”.

Successivamente, anche a seguito del giudizio di legittimità della Corte Costituzionale, sono sorte numerose critiche e contrasti giurisprudenziali aventi ad oggetto i rischiosi effetti del vincolo del medico alle linee guida – scoraggiante l’azione di scelte terapeutiche meno standardizzate, ma potenzialmente più adeguate al trattamento del singolo individuo.

L’articolo è stato abrogato con l’introduzione della Legge cd. Gelli Bianco, n. 24/2017 che ha, da una parte, all’art. 5, istituzionalizzato le linee guida lasciando salva la specificità del caso concreto, e dall’altra ha meglio delineato la responsabilità penale al successivo art. 6.

La norma ha introdotto l’art. 590 sexies cod. pen. che, al comma 2, prevede che qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, ribadendo l’importanza dell’adeguatezza delle stesse alla specificità del caso concreto.

La discrezionalità del medico era ed è ancora un elemento chiave nell’individuazione della punibilità dello stesso: questi deve si attenersi alle linee guida o, in subordine, alle buone pratiche clinico assistenziali, ma saranno sempre il proprio istinto, la propria esperienza, adattati al caso concreto, ad avere la meglio nella scelta diagnostica e terapeutica da adottare.

Non dovendo questa libertà essere in alcun modo contratta ed intaccata – e ciò non per  una forma di ingiustificato buonismo verso gli esercenti le professioni sanitarie, ma per una necessaria tutela del bene dei pazienti – la normativa è stata nuovamente oggetto di riesame e, con il D.D.L. proposto dall’attuale Ministro della Salute, recante modifiche alle disposizioni in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, sono presenti maggiori tutele per la ormai fragile categoria medica.

All’articolo 7 della proposta, richiamando un po’ la formulazione dell’antica Legge Balduzzi, si legge che quando l’esercente la professione sanitaria si attiene alle linee guida come definite e

pubblicate ai sensi di legge o alle buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le predette

raccomandazioni o buone pratiche risultino adeguate alle specificità del caso concreto, è

punibile solo per colpa grave – così intrecciando, in modo più completo, l’esclusione della colpa lieve per il medico che si sia attenuto alle linee guida o alle buone pratiche, facendo salva la specificità del caso concreto che eventualmente richieda di discostarsene.

Ancora, con l’introduzione del nuovo art. 590 septies cod. pen. la punibilità per colpa grave è ulteriormente condizionata dalla scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, nonché delle eventuali carenze organizzative, dalla inevitabilità di queste ultime, dalla mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o sulla terapia, della concreta disponibilità di terapie adeguate, della complessità della patologia o della concreta difficoltà dell’attività sanitaria, dello specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare, nonché della presenza di situazioni di urgenza o emergenza.

Quanto si propone di introdurre comporta una estensione della previsione ex art. 2236 cod. civ. al sistema normativo penalistico – così di fatto scoraggiando la pioggia di denunzie a carico degli esercenti le professioni sanitarie.

Obiettivo della riforma sarebbe migliorare, da una parte la qualità della prestazione medica  - che sarebbe meno contratta e non più subordinata ad un rispetto “obbligato” delle linee guida per evitare conseguenze giudiziali – e dall’altra ad un alleggerimento del carico di ruolo che affolla incessantemente i Tribunali della penisola, spesso con uno spreco di risorse rispetto alla ridottissima quantità di effettive condanne a carico dei medici.

Purtroppo è necessaria una grande conoscenza non della normativa, ma delle difficoltà quotidiane connesse all’attività medico sanitaria, per comprendere a pieno la ratio del D.D.L. – conoscenza che, comprensibilmente, la maggioranza della collettività non possiede.

La proposta da dunque finalmente concretezza alle preoccupazioni che, sin dagli anni Settanta, si leggevano nella pronunzia n. 166 del 22 novembre 1973 della Corte Costituzionale: La particolare disciplina in tema di responsabilità penale, desumibile dagli artt. 589 e 42 (e meglio, 43) del codice penale, in relazione all'art. 2236 del codice civile, per l'esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, è il riflesso di una normativa dettata di fronte a due opposte esigenze, quella di non mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso.

Recentemente, con la pronunzia n. 248 del 25 novembre 2020, la Corte Costituzionale è tornata sul punto, evidenziando la necessità di ripetuti interventi da parte del legislatore miranti a evitare il fenomeno della cd. “medicina difensiva” ritenendo, a fronte degli indubbi profili critici dell’attuale regime di procedibilità rispetto alle lesioni provocate nell’ambito dell’attività sanitaria, quanto meno consigliata una complessiva rimeditazione delle ipotesi di reato previste dagli artt. 590 e ss. cod. pen.

Solo la colpa grave, derivante da inscusabile errore o ignoranza dei basilari principi attinenti all’esercizio dell’attività professionale, dovrebbe rilevare ai fini della responsabilità penale.

L’infallibilità degli esercenti la professione medica sembra farsi strada in modo concreto con la riforma in esame che, se vedrà concretamente la luce, la abbraccerà in tutta la sua essenza, così da ridare libertà e dignità alla classe medica.

 

La responsabilità civile: modifiche alla Legge 8 marzo 2017, n. 24

Ai sensi dell’art. 2236 cod. civ. se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.

A differenza di quanto è previsto nel sistema penalistico vigente, in ambito civile, ai fini della configurabilità della responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, l’inadempimento non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionali ed in particolare al dovere di diligenza per il quale trova applicazione [...] il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, secondo comma, cod. civ. il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata [...] a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 cod. civ., solo nel caso di dolo o colpa grave (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sez.III. sentenza 16 settembre 2025, n. 2715; conforme a Cass. Civ., Sez. II, 8 agosto 2000, n. 10431).

La punibilità è dunque limitata ai soli casi di dolo o colpa grave di cui all’anzidetto art. 2236 cod. civ., e non opera nelle ipotesi di imprudenza nè, al riguardo, rileva l’astratta conformità della tecnica adottata alle linee guida (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 11 dicembre 2023, n. 34516; conforme, ex multis, a Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 20 luglio 2023, n. 21761).

La previsione dell’infallibilità del professionista – compreso il medico – si era fatta già strada nel sistema civilistico ancor prima delle recenti riforme, facendo sempre salvo però, a tutela del danneggiato, il caso di errori conclamati ed avulsi dalla peculiare difficoltà del caso, che mai può costituire una “scusante”.

Sul punto si è pronunziata la Cassazione, Sez. III, che con l’ordinanza del 12 gennaio 2024, n. 4277 ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma con cui era stata stabilita la condanna di un chirurgo per aver aggravato le condizioni di salute del paziente, eseguendo una indebita e non necessaria manovra sull’uretre, generando una lesione che ha determinato altre complicanze evitabili; il chirurgo aveva presentato ricorso ex art. 360 cod. proc. civ. proprio in forza della disposizione ex art. 2236 cod. civ., ritenendo sussistenti fattori di incremento della difficoltà tecnica dell’intervento chirurgico.

Gli ermellini, pur essendo pacificamente orientati nell’escludere la responsabilità civile del medico nei casi particolarmente complessi, hanno evidenziato che dinanzi all’inesattezza dell’adempimento da parte del chirurgo non è applicabile l’art. 2236 cod. civ.

Emerge chiaramente, dopo la disamina della normativa penalistica e della sua evoluzione, la differenza con quella civilistica, ben più garantista della posizione del medico.

Il D.D.L. Schillaci interviene pertanto in un terreno già fertile, aggiungendo alle già previste tutele anche una modifica al vigente art. 7 della Legge Gelli Bianco, integrato con il nuovo comma 3 bis che così reciterebbe: fermo quanto previsto dall’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa, o del grado di essa, nell’operato dell’esercente l’attività sanitaria si tiene conto anche della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, nonché delle eventuali carenze organizzative, quando la scarsità e le carenze non sono evitabili da parte dell’esercente l’attività sanitaria, della mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o sulla terapia, della concreta disponibilità di terapie adeguate, della complessità della patologia o della concreta difficoltà dell’attività sanitaria, dello specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare, nonché della presenza di

situazioni di urgenza o emergenza.

Come anticipato in premessa, il D.D.L. costituisce una risposta alla crisi della società vigente, dei suoi valori ma soprattutto della professione medica – dinanzi alla gravissima carenza di organico, specialmente in reparti emergenziali come il Pronto Soccorso.

Addebitare pertanto la responsabilità per il decesso o le lesioni di un paziente non curato a regola d’arte a causa di scarsità di risorse umane sarebbe ingiusto – così come ingiusto sarebbe “punire” un medico per il fallimento delle cure su soggetto affetto da patologia non nota, o in presenza di limitate evidenze scientifiche in merito all’esito positivo della cura.

La proposta appare, a parere di chi scrive, un completamento ed una estensione della pregevole Legge Gelli Bianco che ha già ridotto in modo netto il numero di contenziosi in ambito civile grazie agli Accertamenti Tecnici Preventivi, volti alla individuazione “a monte” della sussistenza della responsabilità diretta del medico.

La nuova riforma proposta costituirebbe un ulteriore passo avanti, andando ad incidere non solo nella riduzione delle liti temerarie, ma nella concreta modifica delle norme stesse – estendendo le tutele del medico anche al più duro settore penale – agendo in modo più incisivo e cosi portando al centro dell’attività medica la personalizzazione delle cure, senza più automatismi derivanti dall’applicazione generale, a tutti i casi, delle linee guida.

 

Avv. Rosanna Ciavola