SHARING ECONOMY:
LA PROPOSTA DI LEGGE ITALIANA
di Avv. Antonella Matricardi
La sharing economy, ossia il consumo condiviso
L’idea di sharing economy, strettamente connessa a quella di
resilienza come capacità di ottimizzare risorse ed
energie nelle situazioni di crisi, realizza un approccio
economico nuovo rispetto ai modelli tradizionali di scambio e
redistribuzione, attraverso la natura pervasiva della rete mobile e
ubiqua, declinata nella forza diffusiva dei social media.
Singoli individui diventano attori economici, creatori di un valore
condivisibile in termini di beni, servizi e conoscenze, per
proiettarne la spendibilità in un mercato dalle dimensioni ampie in
cui prassi e piattaforme collaborative consentono strategie
commerciali non eterodirette ma partecipative.
Le community, composte da utenti interessati a fornire una
prestazione, da semplici visitatori o potenziali clienti, partecipano
alle fasi non solo di creazione e distribuzione ma anche di
promozione del prodotto, recensendolo quali precedenti utilizzatori
o, incidendo con la frequenza delle visite sul sito, a determinare il
prezzo delle inserzioni pubblicitarie.
Questa, più o meno, una visione iniziatica, quasi
stereotipata del fenomeno.
In realtà, la sharing economy, con le sue più recenti
articolazioni, si rivela essere sistema complesso e
affascinante la cui definizione ormai non può ragionevolmente
essere ingabbiata in semplicistiche formule promozionali o
tantomeno da chiusure tout court demonizzanti.
Un’illusione, una chimera o veramente una risposta
all’impasse dell’attuale crisi economica ?
Accanto ai numerosi sostenitori, la categoria degli
scettici intravede nel consumo condiviso solo un estemporaneo motore
alternativo all’economia tradizionale al quale corrispondono
eccessivi entusiasmi e sopravvalutazioni mediatiche.
Incremento delle opportunità di business, capacità di creare nuova
occupazione, ma, nel lungo periodo, molto probabilmente
un’iperflessibilità del lavoro priva di tutele e un
andamento generale troppo condizionato dall’umoralità della rete,
senza contare una già evidente emergenza in tema di privacy.
Queste, in estrema sintesi, alcune vulnerabilità che hanno motivato,
non senza l’ambizione di poter governare un processo così
esteso e inarrestabile, recentissime iniziative legislative, proprio
a partire dal nostro paese.
Il 27 gennaio scorso è stata, infatti, presentata alla Camera del
Deputati la proposta
di legge n. 3564 e parallelamente depositato il 3
marzo in Senato il disegno
di legge n. 2268.
Pur essendo testi sostanzialmente sovrapponibili, appaiono essenziali
nel secondo gli aspetti della tutela consumieristica e della libertà
di concorrenza, mentre dal primo emerge una maggiore attenzione del
legislatore alla regolamentazione dell’attività di condivisione
dei siti e portali web.
Il testo presentato alla Camera
L’Intergruppo Parlamentare sull’Innovazione ha diffuso in rete
un’anticipazione della proposta di legge n. 3564, presentata ad
iniziativa del deputato Veronica Tentori (PD), la cui pubblicazione
sulla piattaforma Making
Speeches Talk di Open Evidence consente all’utente
dal 2 marzo al 31 maggio 2016 di apportare, in riferimento ad ogni
singola disposizione, osservazioni e commenti.
Si tratta di un testo composto da 12 articoli che preliminarmente
introduce il concetto di appartenenza agli operatori stessi del
valore generato da beni e servizi messi a disposizione dei fruitori:
il gestore -che agisce solo come abilitatore della piattaforma- non è
datore di lavoro, essendo concettualmente escluso l’elemento
della subordinazione.
Se il fine ultimo del legislatore è quello di garantire trasparenza,
leale concorrenza, equità fiscale e tutela dei consumatori, in
tale ottica dovrebbe porsi l’istituzione del Registro
Elettronico Nazionale presso l’Autorità Garante della concorrenza
e del mercato. All’AGCM è attribuita la funzione di
regolazione e vigilanza sulle attività dei portali con il compito di
segnalare, nella relazione annuale alle Camere, eventuali ostacoli
normativi/amministrativi alla diffusione dell’economia di
condivisione, insieme a possibili correttivi e sempre in
sintonia con le normative europee.
Centrale appare la previsione del documento di politica
aziendale che, predisposto dai gestori delle piattaforme e approvato
dall’AGCM, costituisce adempimento vincolante per
l’iscrizione al Registro Nazionale. Fra le condizioni contrattuali
sottoscritte dagli utenti non potranno essere inserite riserve
dirette a determinare uno squilibrio nei rapporti a favore
dell’abilitatore. Concessioni di esclusiva, accettazione di tariffe
obbligatorie, ingerenze o controlli nell’esecuzione delle
prestazioni e cessioni gratuite non revocabili dei propri diritti
d’autore sono clausole espressamente indicate come nulle, anche se
accettate dai condividenti.
Quali garanzie obbligatoriamente previste nel documento, sono
imposti i pagamenti in via elettronica per le transazioni
economiche e richieste le registrazioni univoche di tutti gli
utenti sul sito, nonché le informazioni circa le coperture
assicurative stipulate.
E’ prevista un’imposizione fiscale flessibile e diversificata in
cui il reddito da attività di economia della condivisione non
professionale dovrà essere indicato in un’apposita
sezione della dichiarazione dei redditi, richiedendo, se inferiore
alla soglia di 10.000 euro, l’applicazione di un’imposta pari al
10%, mentre i redditi superiori dovranno essere cumulati con i
redditi da lavoro dipendente o autonomo, quindi assoggettati
all’aliquota corrispondente.
Il testo si conclude con l’obbligo di predisporre strumenti per la
verifica, modifica e rapida eliminazione dei dati utenti in tema di
tutela della riservatezza e con la previsione di misure sanzionatorie
pecuniarie e sospensive dell’attività per i portali non
iscritti al Registro Nazionale o privi del documento di policy,
ricorrendo l’infrazione anche nei casi in cui gli stessi non si
siano adeguati, entro i termini indicati, alle diffide
dell’Authority.
Il testo depositato in Senato
Come nella bozza di legge presentata alla Camera, l’articolato ad
iniziativa parlamentare del senatore Mauro Del Barba (PD) circoscrive
l’elemento caratterizzante della sharing economy al fatto “che
le iniziative di condivisione non siano strettamente legate a una
logica di profitto e consumo ma a uno schema di ottimizzazione e di
risparmio con una ovvia attenzione ai paradigmi di innovazione
sociali quali, ad esempio, la sostenibilità ambientale, lo scambio
culturale, la ricerca scientifica, ottenendo così un risparmio di
spesa ed eventualmente un reddito“.
Vengono pertanto espressamente escluse le attività svolte con
modalità operative imprenditoriali, poichè la condivisione del bene
o del servizio non deve essere svolta professionalmente. Al fine di
tutelare la concorrenza e impedire un utilizzo elusivo della
disciplina speciale, i soggetti che esercitano un’attività
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o
servizi dovranno rimanere assoggettati alle norme civilistiche in
materia di impresa.
Il testo è composto da 9 articoli; un primo blocco di norme conferma
gli obblighi per i portali di condivisione nella tracciabilità dei
pagamenti, nei meccanismi di controllo dei servizi offerti, nelle
coperture assicurative e nella tutela della riservatezza dei dati
personali e delle informazioni acquisite da utilizzatori e fruitori
nell’attività di condivisione.
Di rimando, la mancata iscrizione nel Registro Nazionale on line o il
mandato adeguamento all’intimazione dell’Authority conferma le
sanzioni pecuniarie e la sospensione dell’attività fino alla
realizzazione degli adempimenti richiesti.
Le disposizioni non parlano espressamente di documento di politica
aziendale ma di condizioni generali di contratto utilizzate che il
gestore deve comunicare all’AGCM, escludendo sempre l’inserimento
di clausole di esclusiva o indicanti tariffe predeterminate.
L’operatore dovrà svolgere la propria attività nel rispetto degli
standard minimi di sicurezza ed igiene che verranno dettagliati con
regolamento ministeriale, mentre è prevista l’applicazione
dell’art. 2043 c.c., a tutela del consumatore, laddove i danni
eventualmente subiti non siano altrimenti risarcibili, stante
l’acclarata esclusione della risarcibilità per quella tipologia
di pregiudizio che può derivare dalle prestazioni tra privati
senza previsione di un corrispettivo.
In tema di tutela della concorrenza il disegno di legge distingue
tra attività sottoposte a specifici regimi autorizzatori e attività
apparentemente non economiche che, commercializzando prodotti e
servizi on line senza essere soggette a tassazione od obblighi
igienico-sanitari, determinano situazioni di concorrenza sleale.
Per le prime viene quindi previsto che, con regolamento ministeriale,
siano indicati i limiti massimi temporali e di reddito consentiti
nell’anno solare per l’attività di condivisione.
Il legislatore vuole così riconoscere la coesistenza di approcci
economici diversi, comunque funzionali a soddisfare domande
differenti, al fine di evitare che, nei confronti di operatori
soggetti a particolari regimi autorizzatori, non prevalgano operatori
concorrenti in grado di agire senza alcuna regolamentazione.
Sono escluse, pertanto, dall’utilizzazione o fruizione in forma
condivisa, quelle attività intellettuali il cui esercizio sia
subordinato all’iscrizione in appositi albi o elenchi.
La fiscalità sembra rimanere anche nel testo presentato in Senato,
secondo alcuni commentatori, un nodo irrisolto o, perlomeno,
semplicisticamente affrontato. Viene disposto, infatti, che i
proventi derivanti dalla condivisione, se inferiori nell’anno
solare alla somma di 10.000 euro, non debbano concorrere alla
formazione del reddito del condividente e che, fino a tale limite,
siano soggetti all’imposta sostitutiva del 10% con la condizione di
sostituti d’imposta assegnata ai gestori. Naturalmente, a tal fine,
s’intenderanno cumulate tra loro, eventuali plurime attività di
condivisione.
I limiti della proposta italiana
La Commissione Europea che ha annunciato la Digital Single Market
Strategy, ossia lo sviluppo di un’agenda europea sull’economia
collaborativa, dovrebbe concludere entro pochi mesi ormai
l’elaborazione delle linee guida. Nel febbraio scorso i
rappresentanti dell’economia industriale europea della
collaborazione ( praticamente le 47 aziende leaders della s.e.) hanno
rivolto al primo ministro olandese, Mark Rutte, presidente di turno
della UE, una lettera aperta per sollecitare una strategia unica,
temendo possibili freni burocratico-legislativi nei paesi membri allo
sviluppo dei nuovi modelli di mercato.
A prescindere dal sotteso intento di quello che è sembrato un vero e
proprio appello alla competizione da parte delle
multinazionali-sharing, la proposta italiana è nel frattempo giunta
per prima, suscitando negli addetti ai lavori apprezzamenti per il
tempismo ma qualche perplessità nel merito. Entrambe
le bozze sembrano infatti troppo generiche e difficilmente
applicabili a realtà dalle diverse strutture e dimensioni, pur
comprese nello stesso complesso sistema.
Nella distinzione, ad esempio, tra rental economy (in cui si
affermano forme di business vero e proprio) e la semplice idea di
condivisione di beni e servizi, il modello fiscale suggerito rischia
di creare uno squilibrio competitivo a scapito dei cd. servizi on
line decentralizzati. Senza contare poi, l’attuale indisponibilità
di uno specifico prodotto offerto sul mercato per le obbligatorie
coperture assicurative e l’assenza di disposizioni in tema di
previdenza.
L’inserimento di oneri e vincoli per i gestori sembra, peraltro,
incompatibile con le dinamiche di un’economia veloce, di quasi
impossibile attuazione per quelle nuove piattaforme operate
direttamente dagli utenti.
Il percorso parlamentare della proposta italiana è, tuttavia,
appena iniziato, necessariamente soggetto ad una fase
d’implementazione nell’ambito della quale occorrerà tener conto
di un contesto in continua evoluzione e che la natura del lavoro sta
cambiando, come sta cambiando la natura dell’impresa.
C’è sharing e sharing, ricorda Daniele Viotti,
europarlamentare che nel giugno 2015 ha presentato un progetto pilota
per il quale sono stati inseriti due milioni e mezzo di euro nel
bilancio della UE e che vuole sostenere le realtà di dimensioni
minori rispetto alle grandi piattaforme dalle quali le prime
rischiano di essere oscurate.
C’è sharing e sharing : la nuova economia non punta solo
a logiche meramente commerciali ma è soprattutto sociale, nella
collaborazione tra persone, nella condivisione in rete di spazi,
esperienze e talenti.
E’ un grave errore, una sottovalutazione imperdonabile guardare
all’economia collaborativa come ad un’esperienza che risenta
di confini, diversamente regolata a seconda delle singole
legislazioni nazionali. Per questo, continua Viotti, sarebbe
interessante che fosse l’Unione a fare il lavoro di raccordo tra le
diverse realtà e a dare risposte alle questioni aperte, perchè se
l’Europa è intenzionata a investire sul settore, ritenendolo un
tema sempre più centrale, l’assenza di un confine chiaro dei
fenomeni di sharing economy rischia di oscurare l’esistenza delle
esperienze minori, cannibalizzate mediaticamente dalle grandi
piattaforme.