Frode
fiscale: una efficace prova a favore di chi l’ha commessa
IL
FATTO
Un
marito divorziato apprende che la moglie, utilizzando la normativa
fiscale di favore per l’acquisto della prima casa, ha comprato un
immobile trasferendovi la propria residenza.
Sperando
così di rientrare in possesso della casa familiare, che è di sua
esclusiva proprietà, ma che era stata assegnata alla moglie perché
vi abitasse con il figlio della coppia, chiede la modifica delle
condizioni del divorzio e la restituzione del bene.
La
signora si difende ammettendo candidamente di aver trasferito la
residenza solo al fine di eludere le leggi fiscali e di approfittare
delle agevolazioni dell’acquisto della prima casa; ma in realtà
dichiara di non aver mai davvero trasferito la propria dimora
abituale, che è sempre rimasta nella casa familiare.
Come
ciliegina sulla torta, la signora dichiara che, compiuta la frode
fiscale mediante il fittizio trasferimento di residenza, dopo alcuni
mesi ha concesso in locazione la nuova casa a terzi, al fine di
percepire il canone continuando ad abitare gratuitamente nella casa
familiare.
Il
Tribunale, per accertare la verità dei fatti, sente come testimone
il figlio della coppia, ormai maggiorenne, senza porsi il problema di
un suo interesse diretto all’esito del giudizio, e cioè di
continuare ad abitare nella casa in cui ha sempre vissuto.
Il
figlio conferma che l’acquisto dell’immobile come prima casa è
avvenuto al solo fine di evadere il fisco, che l’intero disegno
sarebbe stato suggerito dal notaio rogante, che la residenza in
realtà non è mai stata trasferita se non fittiziamente e soltanto
per alcuni mesi.
Sulla
base di queste prove il Tribunale giustifica la falsa dichiarazione
contenuta nell’autocertificazione di cui agli artt. 46 e 47 del
D.P.R. n° 445 del 2000 – nonostante questa integri il delitto
previsto dall’art. 483 cod. pen. – nonché la frode fiscale (non
una semplice omissione o evasione, ma un comportamento dolosamente
preordinato per pagare una imposta ridotta).
Rigetta
pertanto la domanda dell’incauto proprietario esclusivo della casa,
colpevole di aver chiesto la restituzione del proprio bene, e lo
condanna alla rifusione delle spese processuali.
IL
DIRITTO
Scire
leges non est earum verba tenere sed vim ac potestatem, scriveva
Celso: sapere le leggi non è conoscerne le parole, ma comprenderne
lo spirito e la forza.
Anziché
denunziare l’illecito, il Tribunale lo ha indirettamente premiato.
La
signora è uscita vittoriosa dal procedimento avviato dall’ex
marito, ha mantenuto l’assegnazione della casa familiare e
percepisce comodamente il canone di locazione dell’immobile
acquistato in evasione.
Siamo
dinanzi ad una violazione dell’articolo 331 cod. proc. pen.
Quest’ultimo
punisce il pubblico ufficiale che, nell’esercizio della propria
funzione, abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio –
proprio come l’art. 483 cod. pen. – ed ometta di denunziarlo al
pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria; oggetto
della norma è la conoscenza di un fatto-reato diverso ed ulteriore
rispetto a quello oggetto del giudizio.
La
condotta della signora integra il delitto di falsità ideologica
commessa dal privato in atto pubblico: questa si realizza – secondo
l’esegesi della Suprema Corte di Cassazione – anche ove vengano
rese dichiarazioni sostitutive (come le autocertificazioni previste
dagli artt. 46 e 47 del D.P.R. n° 445 del 2000) non corrispondenti a
verità.
Gli
ermellini hanno recentemente puntualizzato che le
dichiarazioni sostitutive di certificazioni sono pienamente
equiparate, agli effetti penali, agli atti pubblici e,
pertanto, la
falsa dichiarazione di trasferimento di residenza resa ai sensi
dell’art. 47 del D.P.R. n° 445 del 2000 e rilasciata all’ufficio
anagrafe comunale integra il delitto ex art. 483 cod. pen. (Cass.
Pen., sez. V, 27 giugno 2018, n° 29469).
I
fatti appaiono estremamente chiari e sconcertanti, la loro
trasposizione nel provvedimento giudiziario lascia allibiti. Nessuna
segnalazione all’Agenzia delle Entrate per la revoca dei benefici
fiscali ingiustamente goduti e nessuna trasmissione di atti al
Pubblico Ministero che l’obbligatoria azione penale derivante da un
reato perseguibile d’ufficio
Proprio
il sistema giudiziario, che dovrebbe disincentivare la collettività
dal realizzare condotte siffatte, utilizza fatti illeciti come prove
a favore del loro autore.
Lo
spirito della legge è sfuggito al Tribunale di Catania.
Che
ne direbbe Celso?