mercoledì 8 marzo 2017

Legge che risorge

Legge che nasce, che muore, che risorge

Antonino Ciavola


In una sua gustosa opera  il Salazar ci racconta lo strano caso di una legge regionale della Calabria abrogata da una successiva legge regionale e richiamata in vita mediante l'abrogazione esplicita della norma che l'aveva abrogata.
Gli effetti dell'abrogazione delle norme abrogatrici, con possibile reviviscenza della norma originaria, fanno parte di quegli aspetti "misteriosi" e oscuri per la maggior parte dei pratici del diritto.
Ciò per colpa della tecnica legislativa ormai degenerata, che utilizza sempre meno il sistema più corretto dell'abrogazione espressa e sempre più quello dell'abrogazione implicita o tacita, magari affidando a norme secondarie l'individuazione delle parti di legge effettivamente abrogate.
Talvolta l'individuazione corretta è realizzata con la successiva redazione di testi unici chiarificatori, altre volte i dubbi restano.
Un altro esempio di morte apparente della legge è dato da quelle antiche norme, risalenti al periodo fascista, che regolavano l'ordinamento professionale forense e che sembravano esser state implicitamente abrogate dalla riforma approvata con legge 31 dicembre 2012 n. 247.
Prima di verificare e dimostrare che le cose stanno in modo diverso, è necessario un breve riepilogo dell'evoluzione normativa che ha portato alla legge 247.
Con la Legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità 2012) era stato stabilito «Con decreto del Presidente della Repubblica ... gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto ... Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali sono abrogate con effetto dall’entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5».
Questa variazione serviva a mutare la veste della normativa da riformare: non più legge ordinaria bensì regolamento governativo, nella forma del D.P.R.
La manovra salva – Italia, approvata con decreto legge, ha aggiunto un termine finale di abrogazione: "e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012";
Cosa significa che le norme sugli ordinamenti professioni sono in ogni caso abrogate dalla data del 13 agosto 2012?
Letteralmente significava che, se il Governo non avesse approvato il D.P.R. di riforma, le norme di ordinamento professionale sarebbero rimaste comunque abrogate, creando un vuoto normativo corrispondente a una piena deregulation.
Abrogazione degli ordinamenti professionali è una dicitura generica, che poteva essere riferita (per restare al campo forense) al Regio decreto legge 27 novembre 1933 n. 1578 (legge professionale), ma anche al D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944 n. 382 (norme sui Consigli degli ordini e Collegi e sui Consigli nazionali) e a tutta una congerie di norme che, farraginosamente ma ormai in modo noto, regolavano ogni aspetto della professione forense.
Si discuteva se una norma così generica che prevede l’abrogazione delle norme sugli ordinamenti professionali potesse efficacemente abrogare tutte queste leggi, non espressamente indicate, ma la questione sembrava risolta prima con il D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, e poi con la L. 31 dicembre 2012 n. 247 che ha l'effetto, essendo una legge speciale riguardante solo gli avvocati, di sottrarre questa professione dal destino riservato a tutte le altre e cioè dalla normazione secondaria avvenuta con il DPR n. 137.
Secondo tutti i commentatori l'approvazione di questa nuova legge professionale forense avrebbe comportato l'abrogazione di tutte le norme precedenti, forse peraltro già abrogate da quelle di portata generale sopra ricordate.
La legge 247, però, ci riserva non poche sorprese.
Il capo III, interamente dedicato al Consiglio Nazionale Forense, così esordisce all'art. 34:
1. Il CNF, previsto e disciplinato dagli articoli 52 e seguenti del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n.1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n.36, e dagli articoli 59 e seguenti del regio decreto 22 gennaio 1934, n.37, ha sede presso il Ministero della giustizia e dura in carica quattro anni. Il sesto comma afferma che si applicano le disposizioni di cui al Decreto Legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, per quanto non espressamente previsto.
Si tratta della normativa in materia di elezione dei Consigli locali e nazionali, interamente riscritta dalla Legge 247 eppure, dalla stessa, mantenuta in vita o resuscitata.
L'art. 35, comma 1, lettera c) prevede che il CNF esercita la funzione giurisdizionale secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n.37.
L'art. 36 comma 1 ribadisce la funzione giurisdizionale che si svolge (ancora) secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del Regio Decreto 22 gennaio 1934 n. 37.
Identico richiamo (repetita juvant) è previsto nell'art. 37.
Le antiche leggi professionali forensi, date per abrogate, e forse effettivamente abrogate dal generico provvedimento che fissava una data di cessazione di tutti gli ordinamenti professionali vigenti, sono dunque richiamate in vita dallo stesso legislatore che, menzionandole espressamente come norme vigenti, esclude di averle volute abrogare.
Attenzione: probabilmente chi ha scritto la legge 247 intendeva dire che il CNF era già previsto e regolato dalla normativa del 1933, del 1934 e del 1944 (anteriore alla Costituzione) e che la riforma del 2012 rappresentava la revisione della giurisdizione speciale, così come prevista dalla VI disposizione transitoria della Costituzione, il cui termine di 5 anni è ritenuto non perentorio dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
La volontà del legislatore, però, è solo un criterio residuale di interpretazione, mentre il principale è quello letterale che afferma con chiarezza la persistente vigenza delle norme che si ritenevano abrogate.
La legge 247 prevedeva anche una delega al Governo per il Testo Unico (art. 64) mediante il quale doveva accertarsi la vigenza attuale delle singole norme con l'indicazione di quelle abrogate anche implicitamente e con il coordinamento necessario a garantire la coerenza logica e sistematica della disciplina.
Purtroppo, però, il termine di 24 mesi per l'esercizio della delega è irrimediabilmente scaduto.
Resta quindi la disposizione transitoria dell'art. 65, comma 1, che prevede in caso di vuoto normativo derivante da assenza di regolamenti, l'applicazione delle disposizioni vigenti non abrogate, e cioè delle precedenti leggi professionali resuscitate.
Un esempio di vuoto normativo è dato dall'art. 28, comma 6, che introduce il subentro del primo dei non eletti in caso di dimissioni o impedimento di un consigliere dell'Ordine territoriale, ma nulla prevede per l'ipotesi in cui l'esito delle precedenti elezioni non abbia dato un primo dei non eletti, nel caso (puntualmente verificatosi in molti Fori) di elezione plebiscitaria.
In questo caso, mancando anche la norma regolamentare, si dovrà recuperare quella previgente e resuscitata (art. 15, comma 3, D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944 n. 382): Alla sostituzione dei componenti deceduti o dimissionari o che rimangono assenti dalle sedute per un periodo di oltre sei mesi consecutivi si procede mediante elezioni suppletive, e così coprire i seggi vacanti.
Le antiche norme dello scorso millennio, quindi, non sono state abrogate e questo è anche il pensiero del Ministero della Giustizia che, pubblicando in G.U. n. 70 del 2 settembre 2016 il bando per l'esame di avvocato della sessione 2016, esordisce proprio richiamando la normativa del 1933 e del 1934 sopra ricordata.

M. SALAZAR, Novelle dei mesi pari, ed. Giuffré
Per un approfondimento sulle varie distinzioni v. AA.VV., il libro delle leggi strapazzato e la sua manutenzione, ed. Giappichelli

mercoledì 1 marzo 2017

Regolamento continuità professionale

Avvocati: entrato in vigore il regolamento sulla continuità professionale

Pubblicato sulla G.U. n. 81 del 07/04/2016 , è in vigore dal 22 aprile scorso il Decreto del Ministero della Giustizia n. 47/2016, relativo al Regolamento ministeriale recante disposizioni per l’accertamento dell’esercizio della professione forense.
Dunque, ogni tre anni i Consigli territoriali dovranno verificare l’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente da parte di ogni iscritto all’albo, con la sola esclusione dei neoiscritti per i primi cinque anni.
Entro sei mesi,  a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento, un altro provvedimento ministeriale dovrà stabilire le modalità per individuare con sistemi automatici le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione, anche mediante le quali sarà possibile comprovare il possesso dei requisiti richiesti.
Le modalità di accertamento e i sei requisiti ammessi
Il sistema così elaborato dovrebbe promuovere l’accertamento di un esercizio dell’attività non discontinuo, quindi caratterizzato da un sufficiente grado di professionalità. Ma, esclusi i rilievi sostanziali cui dovrebbe ispirarsi l’unico giudizio sulla natura dell’attività svolta, pur con le due epurazioni cui si accennerà,  sono stati indicati parametri strettamente tecnici o viatici qualificanti le credenziali dell’avvocato  a seconda del privilegio economico di cui può disporre.
Lo stesso discrimine è del resto sotteso anche all’obbligo sancito dall’art. 29, comma 6, L. P. ed esaltato ad indice di etica professionale dagli artt. 16 e 70 del Codice Deontologico Forense. Nel primo caso, il mancato pagamento dei contributi annuali entro i termini previsti, comporta la sospensione non disciplinare e revocabile con la regolarizzazione, mentre nel secondo caso anche l’incolpevole inadempimento degli obblighi previdenziali, fiscali, assicurativi e contributivi assume la fisionomia di vero e proprio illecito disciplinare, francamente alla stessa stregua di comportamenti violativi di ben altra indole corruttiva.
Dunque, tra i sei requisiti indicati che devono ricorrere congiuntamente, la titolarità di una partita IVA attiva (requisito alla lett. a, art. 2, comma 2) e di un indirizzo di posta elettronica certificata (requisito alla lett. d) sono strumenti di lavoro praticamente iniziatici, così come la previsione circa l’esigenza di una base operativa (requisito alla lett. b) non può che rivelarsi strettamente connessa alla garanzia di una ben determinata e stabile organizzazione dello studio professionale.  Nell’anno di grazia 2016, l’espressione in sè uso di locali e di almeno un’utenza telefonica apparirebbe preistorica, se non fosse probabilmente destinata a comprendere, in una moderna e funzionale dotazione di mezzi, anche soluzioni non tradizionali, quali quelle degli uffici condivisi o delle recenti realtà di coworking, avversate solo da vetuste e incomprensibili resistenze.
Diversa considerazione meritano i restanti tre requisiti.
Nell’attesa del decreto ministeriale che, in attuazione dell’art. 12, comma 5, citata L.P., determini le condizioni essenziali e i massimali minimi della polizza assicurativa per la responsabilità civile e contro gli infortuni (requisito previsto alla lett. f), l’entrata in vigore dell’obbligo è differita, come precisato dal CNF nel parere n. 35/15, all’emanazione del provvedimento, mentre l’obbligo di aggiornamento professionale (requisito alla lett. e) deve essere assolto secondo modalità e condizioni stabilite con il regolamento attuativo CNF n. 06/14 , successivamente modificato.  Il sistema così previsto, in buona sostanza, dovrebbe essere funzionale ad assicurare il cd. lifelong learning, inteso come evoluzione professionale di conoscenze e abilità per favorire trasparente competitività e garantire all’utenza competenze dinamicamente acquisite.
Proprio per i migliori propositi dichiarati in tema di libera concorrenza e tendenziale gratuità degli eventi istituzionalmente organizzati, è auspicabile che il sistema ordinistico, allo stesso tempo competente per l’accredito e produttore di eventi formativi, si renda nobilmente immune da potenziali conflitti e restrizioni concorrenziali; allo stesso modo, dovendosi occupare dei processi di verifica e monitoraggio delle attività di aggiornamento e formazione  in esito alle quali l’avvocato potrà essere inserito in elenchi ben determinati,  il rischio è quello di un’eccessiva burocratizzazione degli strumenti di controllo.
Infine l’elemento della trattazione di almeno cinque affari nell’anno (requisito previsto alla lett. c) rappresenta veramente l’apoteosi di questo regolamento.
Poteva sembrare preferibile la soluzione proposta dal Consiglio di Stato di documentare, al di là del dato strettamente numerico, la trattazione di una quantità anche inferiore di affari, purchè connotati da particolare impegno e rilevanza. E’ prevalso invece, su una maggiore flessibilità e valutazione qualitativa dell’attività, un metro scolasticamente quantitativo, realmente soggetto alla stessa discrezionalità che lo schema attribuisce ai Consigli territoriali anche nella valutazione delle difese dell’iscritto in tema di giustificati motivi soggettivi e oggettivi, al fine di  evitare la possibile cancellazione.
La cancellazione dall’albo e la reiscrizione
Quindi, proprio nell’ipotesi in cui il COA accerti la mancanza anche di uno solo degli elementi richiesti e in contraddittorio l’iscritto non dimostri la sussistenza dei menzionati giustificati motivi,  verrà disposta la sua cancellazione dall’albo. La prova successivamente fornita dei requisiti relativi alla partita iva, alla pec, alla struttura operativa e alla polizza assicurativa consente la riabilitazione, concessa non prima del trascorrere di 12 mesi sabbatici nelle ipotesi di cancellazione decisa per mancanza dell’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento e per la trattazione di un non sufficiente numero di affari nell’anno. Rimane, tuttavia, irrisolto l’arcano di come si possano acquisire crediti formativi o assumere incarichi senza essere iscritti all’albo.
I possibili effetti del regolamento e il potere interno degli organi di controllo
La versione definitiva del testo, com’è noto, non prevede più, rispetto alla bozza iniziale, i requisiti relativi alla regolarità previdenziale e contributiva ai COA, poichè ritenuti indirettamente collegati al reddito del professionista, escluso, come riferimento per le modalità di accertamento della continuità, dall’art. 21, comma 1, L. n. 247/12.
Ma, al di là dell’eliminazione di tali indici, per il quadro generale delineato tra possibili sospensioni amministrative e persecuzioni disciplinari, non si esclude che un vero e proprio fuoco di fila possa essere riservato anche all’iscritto che, pur estraneo ad una conduzione professionale intenzionalmente elusiva degli obblighi imposti, sia condizionato, nel regolare adempimento degli stessi, dall’insufficienza dei propri guadagni e oggettivamente non possa, al di là di vuote retoriche motivazionali, radicalmente mutare il percorso lavorativo da anni intrapreso.
Peraltro, il requisito della continuità era stato da più parti già indicato, nel percorso di approvazione della L. n. 247/12, come incompatibile con il divieto di discriminazione indiretta ai danni di parti deboli della categoria, maggiormente soggette a periodi di discontinuità rispetto alle inattaccabili posizioni di soggetti professionalmente forti.
Questo, anche in adesione al divieto espresso dagli orientamenti della Corte di Giustizia riguardo a clausole, regolamenti e leggi, subordinanti la concessione di benefici o diritti anche solo ad un certo tasso di continuità dell’attività lavorativa.
Impostazione migliore poteva essere quella, da più parti a suo tempo suggerita, del declassamento dei criteri indicati da assoluti a presuntivi, in modo da consentire, anche in mancanza di uno solo di essi, la prova della continuità con qualsiasi altro mezzo   caso per caso, non potendo costituire il volume di affari dell’avvocato un indice fondamentale circa la sua affidabilità come professionista.
Ora, mentre, in materia di illecito, spetterà agli organi di disciplina sanzionare o meno le irregolarità commesse da colleghi iscritti non al proprio foro di appartenenza, altro è il compito che attende i COA, chiamati a esercitare un potere interno che, nella sua inevitabile discrezionalità, ad oggi non sembra rinvenirsi negli ordinamenti professionali degli altri paesi europei, perlomeno con queste connotazioni.
La sensazione è che sarà difficile arginare la tentazione di reciproche influenze, nella reviviscenza del legame tra elettore ed eletto, sottratto agli stessi COA per l’esercizio disciplinare. In altri termini, come si comporteranno i Consigli, quando dovranno accertare la mancanza dell’esercizio continuativo o valutare la pregnanza dei motivi soggettivi e oggettivi di cui dovrà fornire prova lo stesso collega dal quale, magari, hanno ricevuto ampio sostegno al momento del voto ? Quali ripercussioni politiche matureranno anche solo alle invise procedure di controllo per un elettorato non certo abituato alle neo-vigenti, delicate ingerenze nelle singole vite professionali ?
Tali perplessità -in particolare, la prima- non si porrebbero, se non avessimo assistito negli anni a innegabili derive clientelari e, prima dell’entrata in scena dei CDD, a episodi di uso distorto della funzione disciplinare, naturalmente non ovunque, ma in alcuni Ordini certamente, anche se per limitate fasi e passaggi di singole consiliature.