lunedì 25 gennaio 2016

Crisi degli avvocati, lasciano la toga in ottomila (rewind)

 
Da alcuni giorni circola in rete un articolo con questo stesso titolo, lanciato da AGI (Agenzia Giornalistica Italiana) e ripreso da tanti altri siti senza modifiche, includendo qualche inesattezza.
Proviamo – umilmente – a correggerlo: i miei chiarimenti sono riportati in grassetto.
Un numero sconfortante quello degli avvocati in fuga, se confrontato con il totale di circa 240mila professionisti del foro contro i 50mila della Francia. Indicativo di quello che sembra a tutti gli effetti un declino della professione. In realtà gli avvocati francesi sono circa 62.000, quindi un quarto degli italiani; un divario comunque ingiustificato (i due Stati hanno uguale popolazione e cultura giuridica).
In Italia nel 2015 sono almeno ottomila quelli che hanno scelto di dismettere la toga. Come? Non rinnovando l’iscrizione alla cassa forense, che a seconda del titolo – da praticante non abilitato fino ai cassazionisti – varia dai 70 ai 205 euro annui. Qui si confonde l’iscrizione alla Cassa con l’iscrizione all’albo. I costi indicati riguardano la tassa per l’albo, mentre la vera causa delle cancellazioni è l’iscrizione obbligatoria alla Cassa che costa non meno di 800 euro l’anno a contribuzione ridotta e oltre 3.600 l’anno a contribuzione piena.
«L’iscrizione è diventata obbligatoria ufficialmente dal primo gennaio 2014» spiega all’Agi Nunzio Luciano, presidente della Cassa forense. «Negli 8mila avvocati in fuga sono comprese molte persone che hanno sempre avuto un altro impiego principale – il piu’ delle volte nella pubblica amministrazione – e che magari esercitavano solo per hobby, resta il fatto che la cifra è elevatissima». L’iscrizione alla Cassa è automatica, non solo obbligatoria, e decorre dal 2013. Chi aveva un altro impiego era incompatibile anche con la vecchia legge, e aveva il divieto di iscrizione e di esercizio, anche per hobby.
Il futuro è tutt’altro che roseo, perché ad oggi sono oltre 80mila gli avvocati che hanno un reddito da fame. «E’ molto probabile che una parte di loro abbandonerà la professione, continua Luciano». Tra i più colpiti i giovani e le donne che percepiscono un reddito dimezzato rispetto ai loro colleghi maschi. Ma iniziano a soffrire anche le fasce intermedie, specie se non specializzate. Non è la specializzazione a portare clienti, ma certi flussi non trasparenti (enti pubblici, agenzie privatizzate, gestori di pubblici servizi) e talvolta clientelari.
Ai tempi della crisi trascinare qualcuno in tribunale è diventato un lusso: «il contenzioso ha costi altissimi, chi è in difficoltà non può permettersi una spesa simile» spiega ancora il presidente della Cassa forense. «L’avvocato d’ufficio viene pagato pochissimo. Per una causa delicata come quella di un divorzio con figli può percepire anche 100 euro». Qui si confonde la difesa d’ufficio del penale con il patrocinio a spese dello Stato nel civile (il divorzio è una causa civile). E non si spiega che l’avvocato d’ufficio o con gratuito patrocinio dovrebbe essere uno che rende un servizio sociale, non un mestierante che vive di questo.
Prima di essere pagati, poi, possono trascorrere anche anni: «Stiamo cercando di introdurre norme per abbattere i tempi di pagamento per chi difende i soggetti meno abbienti» spiega. Per Luciano i «veri monopolisti sono le grandi assicurazioni che non retribuiscono il legale in base a parametri di minimo perché non esistono più. La retribuzione e’ ridotta all’osso a scapito della qualità». Qui la frase è stata probabilmente mal sintetizzata, il pensiero era che l’avvocatura è un soggetto debole rispetto a certi poteri forti, come quello assicurativo. Certo è che gli avvocati fiduciari di compagnie assicurative sono pochissimi e restano comunque professionalmente fortunati.
A chi propone il numero chiuso per arginare l’enorme offerta, Nunzio Luciano risponde che ormai é tardi. «Dai dati in mio possesso risulta che gli iscritti alle facoltà di giurisprudenza sono sempre meno. Era necessario agire prima e introdurre il numero programmato nel secondo anno accademico per evitare il boom e permettere a persone meritevoli di trovare comunque un’altra strada senza restare fuori dal mercato». Era anche necessario verificare l’effettiva pratica forense e realizzare un esame di Stato semplice, meritocratico e dignitoso, mentre quello attuale lede i diritti umani dei giovani praticanti e non consente alcuna selezione per merito.